Vi spiego perché Salvini ha ragione su Hezbollah. Parla Giulio Terzi

Vi spiego perché Salvini ha ragione su Hezbollah. Parla Giulio Terzi

Conversazione con Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore in Israele e negli Stati Uniti sul botta e risposta tra il vice premier Matteo Salvini e il ministro della Difesa Elisabetta Trenta

Articolo di Stefano Pioppi per Formiche.net del 114 dicembre 2018

Le parole del ministro dell’Interno su Hezbollah sono “sacrosante”. Si tratta di un’organizzazione terroristica globale, tutt’altro che divisibile dall’ala politica che opera in Libano. Parola dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri con una lunga carriera diplomatica che lo ha visto, tra gli altri incarichi, rappresentare il Paese in Israele, all’Onu e negli Stati Uniti. Presidente di Cybaze, è attualmente impegnato sui temi della politica estera e di sicurezza come senior advisor o membro del direttivo di diverse istituzioni e organizzazioni di rilievo internazionale. Formiche.net lo ha intervistato sul recente botta e risposta tra i minitri dell’Interno Matteo Salvini e della Difesa Elisabetta Trenta. Il primo, che ha definito Hezbollah “terroristi islamici”, ha generato “la preoccupazione” e “l’imbarazzo” di palazzo Baracchini, legati soprattutto alla presenza di circa 1.100 militari italiani nel Sector west della missione Unifil in Libano, la zona in cui Hezbollah è più attiva. Un invito alla cautela è stato poi ulteriormente ribadito dalla Trenta, che sul tema aveva già incassato l’appoggio dell’altro vice premier, Luigi Di Maio.

Ambasciatore, quale è la sua impressione sulla vicenda?

Il punto di partenza è che Hezbollah è un’organizzazione terroristica globale, di grandissima pericolosità per la regione mediorientale, per l’Europa e per le altre parti del mondo. È vero che l’Unione europea distingue la sua ala militare dalla parte politica, ma si tratta di distinzioni sempre più evanescenti e puramente cosmetiche, utili a dare la parvenza di voler credere a qualcosa che nella realtà non esiste. Proprio come non esiste in Iran (a differenza di quanto sostenuto da molti) una realtà positiva e riformista rispetto a un’ala intrinsecamente negativa e pericolosa. Non ci sono differenze nel regime iraniano né nei suoi proxy, da Hamas al Jihad islamico palestinese, tra l’altro strettamente legati all’attività islamica anche di impronta sunnita.

Ci spieghi meglio.

Ad Abottabad nell’operazione contro Osama Bin Laden, così come in Iraq, sono state trovate montagne di documenti che hanno dimostrato collegamenti tra le organizzazioni qaediste e il regime iraniano, che siano le sue strutture di intelligence o i suoi proxy. Bisogna avere il coraggio di conoscere e ragionare sul terrorismo nel suo complesso, che non è solo Stato islamico. C’è una faccia meno illuminata, ma più oscura, che è il terrorismo sostenuto dall’Iran. Lo scorso 13 novembre, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha collocato nella lista dei terroristi altri tre membri di Hezbollah, tra cui anche dei responsabili del suo ramo politico, gli stessi che vengono invitati persino in Italia in conferenze ed eventi; è una dimostrazione plateale per dire che a noi va bene tutto, che non vogliamo parlare dei rischi collegati a questa attività.

Sta descrivendo un quadro piuttosto drammatico.

Non vorrei drammatizzare troppo, ma questo è lo sfondo da conoscere quando si parla di Hezbollah. Basti pensare al tentativo di attentato, lo scorso giugno, orchestrato per colpire un convegno di dissidenti politici iraniani a Parigi. Un diplomatico di Teheran a Vienna è stato fermato da autorità belghe e tedesche, poi incarcerato e messo sotto processo con la collaborazione dei francesi. È stato fermato proprio mentre passava ai suoi complici l’esplosivo, con l’obiettivo di colpire la resistenza al regime iraniano e i suoi amici, compresi numerosi parlamentari stranieri.

Tornando alla vicenda tra Salvini e Trenta, il ministero della Difesa ha però invitato alla cautela considerando la presenza dei nostri militari in Libano.

La sicurezza dei nostri militari impegnati nella missione Unifil è di fondamentale importanza. Dobbiamo creare un quadro politico che rappresenti il massimo della condizione per permettere loro di operare in modo efficace per la tutela della stabilità e della pace nella regione. Eppure, ciò non significa evitare di denunciare il terrorismo di Hezbollah. Si tratta di un’organizzazione militare gigantesca, che ha stoccato circa 150mila razzi pronti a distruggere Israele, costruendo tunnel che arrivano nel cuore del Paese e delle dimensioni adatte per far passare rampe lanciamissili. Non denunciare tutto questo perché potrebbe eccitare la ritorsione contro i militari italiani è un’impostazione che non funziona. Diverse voci autorevoli sostengono esattamente il contrario. Negare la pericolosità di Hezbollah vuol dire trasmettere un senso di debolezza e di paura. Ce lo insegna proprio Israele, che è il Paese più esposto da questo punto di via. Non credo che lì ci sia mai silenzio o il “guardare dall’altra parte”. Se continuiamo a dare questo senso di debolezza, allora sì che i nostri militari corrono davvero un rischio. Se abbiamo problemi a una presenza significati in Unifil perché non disponiamo di una linea politica nel contrasto al terrorismo di origine iraniana, traiamone le dovute conclusioni, chiedendoci anche se ha senso restare.

Eppure, Hezbollah in Libano rappresenta effettivamente una forza politica, ma anche un’organizzazione economica e sociale.

Certo. Ma anche i Guardiani della Rivoluzione in Iran controllano perlomeno il 40% dell’economia del Paese, rappresentando il veicolo di arricchimento di una leadership ultracorrotta e ultraricca, che si lega agli organismi di sicurezza per tenere in pugno la popolazione, reprimere le dissidenze ed espandere il potere all’estero.

L’organizzazione di Hezbollah costituisce comunque un interlocutore imprescindibile nel contesto politico e diplomatico del Libano.

È proprio questo il problema da rivolvere: come affrontare Stati o para-Stati che sono un tutt’uno con la struttura militare terrorista? Per farlo però, bisogna essere consapevoli che non c’è differenza tra la parte politica e quella terroristica. Pensare di tracciare una linea di separazione è un’astrazione. Quale è quel politico di Hezbollah su cui si può far pressione affinché metta un freno ai comandanti militari della sua organizzazione? Non c’è. Perché se ci fosse, verrebbe di certo messo a tacere. In altre parole, bisogna familiarizzare con la realtà: nel sistema politico libanese esiste una componente molto rilevante che è espressione di un’organizzazione con finalità terroristiche. Mi rendo conto che sia un’espressione non piacevole né diplomatica, ma è un fatto, e lo dimostra la lunga storia di terrorismo e azioni violentissime condivise con il potere e il crimine organizzato.

Quale è il legame con il crimine organizzato? Può farci un esempio?

È notizia recente che l’amministrazione Trump sta per lanciare un’iniziativa coordinata in America latina con Argentina, Brasile e Paraguay, finalizzata a interferire in una zona dove Hezbollah è particolarmente attiva e partecipa ai proventi del narcotraffico. Questi ultimi sono usati per finanziare il terrorismo. Non bisogna dimenticare che, prima dell’11 settembre, i due più grandi attacchi terroristici nel continente americano sono stati quelle del ’92 e ’94 a Buenos Aires contro l’ambasciata israeliana e la sinagoga. È ormai a conoscenza delle intelligence occidentali che gli attentati furono opera di Hezbollah.

In definitiva, sembra chiaro che lei sia d’accordo con Matteo Salvini.

Sono i fatti ad esserlo. Le cifre rese note dal dipartimento di Stato americano sono impressionanti. Il finanziamento diretto iraniano ad Hezbollah è pari a 700 milioni di dollari l’anno. Il regime di Teheran avrebbe speso 16 miliardi di dollari per sostenere le sue formazioni militari, il regime di Assad in Siria e i vari proxy in Iraq e Yemen, dove sono stati individuati dei veri e propri arsenali di armi iraniane fornite ai ribelli Houthi. Poi, ci sono i 100 milioni di dollari all’anno dati ai gruppi palestinesi, a cui si aggiungono anche le linee di credito con finalità criminali passate al bilancio siriano e stimane in 4,5 miliardi durante i sei anni di conflitto. È tutto questo che descrive un quadro preoccupante di cui non si può non rendersi conto.

©2024 Giulio Terzi

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