“Difesa europea. Ipotesi di aggregazione a partire dall’Eurozona”

Abstract

Since the very beginning of European integration the “Europe of Six” did show an inclination  toward “variable geometries” which is still there. This paper suggests a focus on the Eurozone as a “geopolitical” launching pad for a “Permanent Structured Cooperation- PESCO” with  priority to be given to Cyber – Defence . An unstable environment has become the crucial playfield for illegal cyber activities. The Union is uniquely placed to contribute to rules preventing cyber conflicts. Four EU members of the G7 had an important role in negotiating last summer the G7 Declaration on responsible States behaviour in cyberspace.  Cyber space is the first dimension of Defence and Data Protection is at the front line. Starting May 25th 2018 new rules will be enforceable by EU Authorities and Member States. The General Data Protection Regulation – GDPR- and the Directive on security of network and information systems – NIS- will have a direct impact on EU Security, Defence, and Counter-terrorism. Over thirty years of efforts show the interdependence between individual rights and freedoms on one side, and security needs on the other. The value of living in a liberal democracy governed by the Rule of Law by far exceeds the challenges of fighting against terrorism. Regimes unaccountable to their own people can easily claim the “raison d’état” only to justify suppression of freedoms. It is in this framework that Cyber- Defence is also being discussed among  European Nato members. Useful example are the Tallinn Manual and the Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence .This paper suggests tree main areas for a “Permanent Structured Cooperation” in Cyber – Defence, among Eurozone Member States: A) creation of multinational  “Cyber Command”; A) training and recruitment of highly specialized personnel; 3) closer interaction at national level between intelligence, military and civilian entities involved in Cyber-security.

 

 

  1. Il quadro europeo.

La cooperazione in materia di difesa è tema ricorrente del dibattito europeo, con alternanza di entusiasmi e delusioni, in un contesto segnato nell’ultimo quinquennio da un certo progresso. Chi ritiene che una politica Europea di Difesa e di Sicurezza degna di tale nome debba basarsi su una visione condivisa degli interessi da difendere, delle sfide e delle minacce da affrontare, e debba disporre di strumenti operativi, strutture, risorse adeguate e credibili rispetto a quelle degli altri principali protagonisti sulla scena mondiale, resta solo parzialmente confortato dalle decisioni adottate dal Consiglio Europeo dello scorso Giugno.

 

Negli ultimi mesi, il quadro di riferimento si è meglio definito con la elezioni in Olanda, Francia, Austria, e con le prospettive favorevoli alla riconferma del Cancelliere Merkel alle elezioni tedesche del 24 Settembre. Le quotazioni dell’Unione presso l’opinione pubblica e le principali forze politiche europee sembrano aver ridato energia al processo di integrazione nelle sue diverse componenti. In primo luogo, quella economico-finanziaria, con le proposte del Presidente Macron sull’Eurozona, riprese con diversi aggiustamenti da Berlino soprattutto per quanto riguarda ESM, bilancio, autorità di controllo. In secondo luogo qualche luce in fondo al tunnel delle questioni migratorie e d’asilo si è vista con la concertazione il 28 Agosto nell’incontro dei quattro Leader UE a Parigi – Macron, Gentiloni, Merkel e Rajoy- tra loro e anche con alcuni partner africani.

 

Le crescenti preoccupazioni per il terrorismo jihadista, le nuove dimensioni della minaccia cyber e i conseguenti grossi investimenti nella cybersecurity che nei soli Stati Uniti raggiungeranno 1 trilione di dollari nel quinquennio a partire dal 2017 nel settore privato, l’estendersi di “conflitti congelati” e di “aree di destabilizzazione” in Europa e in Medio Oriente, la certezza che ogni singolo paese europeo non possegga le dimensioni per fronteggiare autonomamente le grandi nuove sfide, costituiscono potenti stimoli esterni a  una più decisiva coesione tra i Paesi dell’Unione sulle questioni della difesa e della Sicurezza.

 

In generale, gli argomenti in favore di una corsia preferenziale da riservare al processo di integrazione  nel campo della Difesa non sono certo nuovi. Essi sono essenzialmente tre:

  1. “insieme siamo più forti, e autonomi nell’affermare gli interessi dell’Europa”;
  2. l’integrazione della Difesa rappresenta un passo necessario, dopo quello economico e monetario, verso l’obiettivo dell’Unione Politica;
  3. una Difesa comune assicura la razionalizzazione della spesa, riduce le duplicazioni degli armamenti (in Europa vi sono 134 tipologie diverse di armi per fare quello che gli USA fanno con solo 34 tipologie), favorisce economie di scala e sviluppo industriale all’obiettivo dell’unione politica. [1]

 

Se è prematuro contare sul nucleo dei quattro principali Paesi dell’Eurozona anche per altre priorità che- come quelle della Difesa e della Sicurezza- appaiono le più urgenti, la concertazione di Parigi sulle politiche migratorie non deve neppure essere sottovalutata. Infatti, nell’importante discorso programmatico pronunciato da Macron l’indomani del “Vertice a Quattro” sull’immigrazione alla Conferenza annuale degli Ambasciatori di Francia, il Presidente ha anticipato che avrebbe proposto entro poche settimane ai partner europei di lavorare su una decina di punti per riformare la zona Euro. Insisterò- ha detto- “per un’Unione rifondata e a diversi formati, spronata dai paesi che vogliano andare più lontano nella convergenza delle loro economie e delle loro politiche”.

 

In prima evidenza, nella visione francese, si trovano le riforme strutturali e tutto ciò che deve ulteriormente integrare l’economia dell’eurozona e la sua governance politica. Ma nella “decina di punti” segnalati dal Presidente francese non poteva mancare la Difesa. L’insistenza su un'”Unione a diversi formati” , sulla sicurezza dei francesi come fondamentale ragion d’essere della diplomazia di Parigi, sulla lotta al terrorismo, fanno ritenere che  nell’impostazione francese siano attualmente ben presenti le condizioni per concentrare proprio sui Paesi dell’Eurozona- in particolare i quattro del Vertice parigino sull’immigrazione di fine Luglio – gli sforzi per rilanciare la Difesa Europea.[2]

 

Per dimensione economica, esperienze operative in missioni di “peacekeeping” Onu, NATO e di “coalitions of the willing”, Francia e Germania non possono che costituire l’elemento decisivo nelle nuove forme di integrazione della Difesa Europea. Anche se le elezioni tedesche hanno almeno per ora lasciato Angela Merkel a dover negoziare con possibili partners di una coalizione nella quale esisterebbero posizioni molto diverse sull’Europa, il Presidente francese ha scelto non la linea dell’attesa, ma quella dell’immediato impegno a rilanciare la sua visione, mantenendo l’iniziativa sul progetto europeo. Accanto  a Francia e Germania, prima di tutti gli altri tra i Ventisette, si colloca a buon titolo l’Italia anche se un Governo di fine legislatura, per di più segnato da divisioni al suo interno e da una crescente opposizione, almeno nei sondaggi, al partito di maggioranza pone il nostro Paese in una condizione di debolezza. Ci si può interrogare se, dovendosi mirare per la Difesa europea a un processo il più inclusivo possibile e allo stesso tempo progressivo, costruito su affinità e meccanismi decisionali sperimentati anche in altri contesti di integrazione non vi siano  motivi validi, ancor più nell’attuale fase di incertezza politica, per  prendere subito le mosse dai Paesi dell’Eurozona: data la natura delle minacce che non solo su di incombono, ma anche per gli attacchi di vero e proprio “cyber warfare” subiti da alcuni di loro. Ciò è tanto più importante ove si consideri la distanza che separa l’Europa, in questo campo, dagli altri principali protagonisti sulla scena mondiale. Gli USA, ad esempio, hanno definito il CYBER un nuovo dominio del confronto militare a pari livello dei quattro già esistenti (terra, mare, atmosfera, spazio).

Buoni motivi sono gli interessi nazionali di tutti i Paesi di quest’area a prevenire minacce di diversa natura: ibride, di disinformazione, di sottrazione massiccia di dati informatici; o militari, con vere e proprie azioni di guerra cibernetica o di uso unilaterale della forza. Le minacce del terrorismo islamico e della forza militare provengono essenzialmente da Est e da Sud. Quelle cibernetiche e, ancora, di alcune organizzazioni jihadiste, hanno natura globale. Si avverte quindi l’esigenza di un sistema integrato di Difesa, a cominciare da quella Cyber, per l’intera regione che va dal Mediterraneo al Baltico. La stessa dimensione economica e finanziaria dell’Eurozona, il suo elevato sviluppo tecnologico, le esperienze maturate dai Paesi Euro nella “quinta dimensione” – Cyber- della sicurezza sono già da tempo oggetto di  iniziative di prevenzione e tutela che si stanno rafforzando con il Manuale di Tallin – importante esempio di collaborazione  avviato dai partners Europei e atlantici del Paese Baltico dopo l’attacco cyber subito dall’Estonia nel 2007 – e con la creazione di un Centro di Eccellenza europeo a Helsinki per la lotta contro le minacce ibride. Il Centro è operativo da questo Settembre, è sostenuto da 12 Paesi, 11 Ue, Regno Unito incluso, e dagli Stati Uniti.[3]

 

Significativo, al riguardo, che il Governo Finlandese – benché neutrale e consapevole che la sorveglianza e la reazione a dette minacce sia prioritariamente una responsabilità nazionale- abbia sottolineato l’importanza di questa cooperazione rafforzata non soltanto tra Paesi UE, ma anche tra UE e NATO per contrastare “minacce ibride” che mirano a destabilizzare dall’interno le democrazie occidentali e rendono meno netta la distinzione tra attività di guerra, uso della forza, e subdoli condizionamenti dell’opinione pubblica basati sulla disinformazione. La NATO dispone, dal canto suo, di un Centro di Eccellenza per la Comunicazione Strategica a Riga.

 

Si tratta peraltro ancora di strutture del tutto embrionali e nettamente sotto dimensionate rispetto ai vasti apparati di cui dispongono i Paesi che vedono nell’Europa e nell’Alleanza Atlantica un antagonista, e persino un nemico, da destabilizzare e condizionare non soltanto nelle sue capacità militari, ma anche e soprattutto sul piano Istituzionale e politico.[4]

 

Vi è quindi un’impellente esigenza di ampliare e approfondire in ogni possibile modo delle “cooperazioni strutturate permanenti di Cybersecurity” tra i paesi dell’Eurozona, per porre quindi questa funzione esattamente al centro della sicurezza europea. Si tratta di una questione talmente vitale che se anche potesse essere considerata distintamente da tutte le altre quattro “dimensioni” della Difesa- cosa evidentemente impossibile data la rilevanza dell’IT per l’Aviazione, la Marina, l’Esercito, e lo Spazio – occorrerebbe comunque riconoscere  la grande urgenza di una integrata “Difesa cyber” con strategia, struttura, comando condivisa, e risorse idonee .

 

  1. La mutazione delle sfide.

A più di un anno dal referendum sulla Brexit si delineano nuove opportunità  per dare   impulso alla Difesa europea, e al tempo stesso sfide accresciute che ne dimostrano l’assoluta urgenza:

 

  1. A) Londra è stata sinora il principale freno per la difesa Europea. Dopo il referendum e l’avvio del negoziato Brexit il terreno appare ora più libero. Tuttavia dobbiamo tener ben presente che la Gran Bretagna resta un partner continentale di fondamentale importanza nella Nato, ed è uno dei due soli membri permanenti, e “nucleari” dell’Europa atlantica in CdS. Una Difesa europea deve essere pertanto “costruita” in stretta sintonia, politica, strutturale, e organizzativa anche con Londra;

 

  1. B) l’Amministrazione Trump ha voluto ridimensionare almeno in parte le iniziali preoccupazioni europee su Nato e Russia. Un’America peraltro “meno scontata” nella sua incondizionata garanzia di sicurezza convenzionale e nucleare verso tutti gli Stati europei fornisce un incentivo potente alla creazione di una vera e affidabile Difesa Europea;

 

  1. C) la natura delle minacce – come ha sottolineato il Vertice Atlantico di Varsavia lo scorso anno- si è sempre più trasformata assumendo connotazioni ibride ,nelle quali le attività di intelligence si uniscono a quelle di disinformazione, di sedizione e di pesante interferenza politica con mezzi criminali e illeciti, attraverso strategie aggressive che si avvalgono dell’uso della forza para-militare e di armi cibernetiche; [5]

 

  1. D) le capacità nucleari stanno evolvendo sia nei programmi di ammodernamento delle potenze nucleari ufficialmente riconosciute, sia con l’acquisizione di arsenali nucleari e sistemi di “delivery” da parte di Paesi che negli ultimi due decenni erano comunque stati sotto stretta osservazione della comunità internazionale;

 

E) programmi di ammodernamento significativi  sono  in atto in Russia – che avrebbe sviluppato, testato e spiegato nel teatro europeo missili da crociera a medio raggio vietati dal Trattato INF, in America – con il programma lanciato dal Presidente Obama per assicurare la ratifica senatoriale del Nuovo Start- in Gran Bretagna- con il finanziamento di nuovi sommergibili nucleari- e in Francia;[6]

  1. F) Tra i Paesi vicini alla soglia nucleare e tra quelli che l’hanno ampiamente superata, i maggiori rischi alla sicurezza europea e atlantica provengono ovviamente dalla Corea del Nord e dall’Iran;

 

  1. G) Pyongyang ha dimostrato da un paio d’anni a questa parte di disporre di un arsenale nucleare significativo e di capacità di “delivery” radicalmente migliorate;

 

  1. H) Teheran continua apparentemente ad attuare il JCPOA, per quanto concerne l’arricchimento dell’uranio. Il Presidente Trump ha annunciato il 13 ottobre scorso che gli Stati Uniti considerano l’Iran inadempiente nello “spirito” dell’Accordo Nucleare, e si rende necessaria quindi per Washington una seria revisione dell’insieme dei rapporti con Teheran.

L’Iran starebbe violando le risoluzioni del CdS delle Nazioni Unite nel settore missilistico. Lo ha accertato lo scorso giugno il gruppo esperti del CdS. Destano accresciuta preoccupazione i successi nordcoreani nell’acquisire capacità nucleari e missilistiche da parte di un regime che vanta proprio con l’Iran una collaborazione trentennale in entrambi i settori, missilistico e nucleare;

 

  1. I) Cybersecurity. Non vi è dominio della Difesa e della Sicurezza, dentro o fuori dai confini nazionali che abbia natura multiforme, multidimensionale  e ibrida quanto la “Quinta Dimensione” della sicurezza globale in sovrapposizione a quella terrestre aerea, navale, e spaziale. Nella “Quinta Dimensione”, strumenti e obiettivi si confondono; origini delle minacce restano spesso non documentabili; finalità militari, economiche, politiche si combinano in forma irreversibile. Ma ciò che appare ancor più significativo e rivoluzionario è che le “cyber weapons” sono al tempo stesso armi convenzionali e armi di distruzione di massa. La “soglia ” tra la prima e la seconda categoria dipende unicamente dal grado delle distruzioni causate, delle perdite di vite e di risorse economiche. Nonostante gli sforzi effettuati nel quadro Onu, Nato e Ue, non esiste ancora una sufficiente base politica, legale e concettuale per sviluppare, come invece avvenuto da decenni per tutte le altre Armi di Distruzione di Massa (ADM) una convincente strategia atlantica ed europea di deterrenza e di risposta alle minacce e agli attacchi, peraltro già verificatisi nel corso dell’ultimo decennio contro Paesi Europei e Atlantici;

 

  1. L) La gestione delle crisi dopo la fine della Guerra Fredda è avvenuta  ad opera di Organizzazioni Internazionali globali e regionali- Onu, Nato, Ue, Union Africana, Lega Araba,  e altre – di ” Coalitions of the willing ” sotto mandato Onu o comunque in attuazione di principi sanciti dal suo Statuto, con risultati alterni. In genere, le missioni organizzate nel quadro UE -PESC/PESD- si sono caratterizzate per un’enfasi sugli obiettivi politici, dell’Institution Building, dell’osservazione e della mediazione, più che su attività militari, alle quali praticamente tutti i Paesi EU hanno spesso partecipato nel quadro del “Peace keeping e/o del “Peace enforcing” delle Nazioni Unite,  della Nato e di altre organizzazioni e iniziative.

 

III. Quale impulso dal motore franco-tedesco?

Le indicazioni date dal Presidente Macron nei primi mesi all’Eliseo e le reazioni provenienti da Berlino, insieme agli esiti delle frequenti occasioni di incontro, multilaterali e bilaterali di Macron con il Cancelliere Merkel, hanno dato la sensazione di una convergenza di obiettivi non prima peraltro di considerevoli distinguo soprattutto sulla governance e l’integrazione dell’Eurozona. Diversi sono stati i riferimenti alla difesa europea, in senso propositivo e di urgenza, ma senza troppi dettagli. Nel suo numero di Settembre/Ottobre Foreign Affairs riporta due analisi sull'”effetto Trump” per gli alleati europei: la prima di Natalie Nougayrede per la Francia, la seconda di Stefan Theil per la Germania.[7]

 

Per la prospettiva e gli elementi in esse contenute, rilevanti nel dibattito sulla Difesa europea, sembra utile riassumerle.

Natalie Nougayrède ricorda l’atteggiamento estremamente favorevole del pubblico francese all’elezione di Obama con sondaggi a lui favorevoli nel 2009 (Pew Research Center) per il 75%, e le riserve invece manifestate pochi giorni dopo a fine 2016 su Trump, che non solo davano valutazioni negative al disopra del 70% tra persone di diverso orientamento politico, ma facevano registrare solo una metà di consensi tra gli stessi sostenitori di Marine le Pen, la personalità dichiaratamente più vicina al nuovo Presidente Americano. Tuttavia, scrive la Nougayrède, la Francia sta aspettando prima di formulare un giudizio. La gente non è certo scesa per le strade, né ha colto la palla al balzo, con la tiepidezza inizialmente espressa da Trump sulla Nato, per risuscitare fantasmi antiatlantici di gollista memoria. Anche se molti ricordano Obama con nostalgia, non mancano ai vertici dello Stato francese le irritazioni mai sopite per la cocente delusione subita nell’Agosto 2013 quando Obama cambiò repentinamente idea sulle “linee rosse” contro le armi chimiche siriane, mentre i Rafales francesi stavano per decollare nell’operazione concordata con Washington. Macron era con Hollande in quei giorni. Lo ha ricordato in una sua intervista lo scorso Giugno quando ha collegato l’invasione dell’Ucraina e l’annessione della Crimea alla Russia a quella vicenda: “Cos’ha reso sicuro Putin nell’agire in altri teatri operativi? Il fatto che aveva di fronte persone che tracciavano linee rosse senza farle rispettare.”

 

Le posizioni espresse da Trump hanno rafforzato il Presidente francese nel convincimento che si apre una nuova era per l’Europa nella difesa del continente. Da qui il suo sostegno a un “fondo comune per la Difesa”, la prospettiva di coalizioni Europee per interventi militari nelle aree di crisi fuori dall’Europa, e la valutazione  che , essendo la Francia nell’UE la maggior potenza militare dopo la Brexit, tocchi ora a Parigi porsi alla guida  di tale percorso, in considerazione anche delle sue responsabilità di potenza nucleare e di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Se per ragioni storiche la Germania appare ancora esitante a espandere le sue forze armate e a impegnarle dove è indispensabile il ricorso alla forza, la Francia non ha di questi problemi e le prerogative del Presidente consentono azioni militari senza troppo coinvolgere il Parlamento. Macron riconosce però che la Francia non può procedere senza una Germania che lui ama descrivere come Paese chiave di un nuovo “Rinascimento Europeo”.

 

Guardando alla Difesa Europea da una prospettiva tedesca, Stefan Theil scrive, sempre su FA, che lo scorso Gennaio il Rapporto di Hans -Peter Bartels, Commissario per la supervisione delle questioni di Difesa al Parlamento tedesco, ha descritto un quadro sorprendentemente negativo, per la disponibilità degli equipaggiamenti e dei mezzi, e per l’addestramento della Bundeswehr.

 

L’economia tedesca domina‎ l’Europa. Le imprese tedesche costruiscono fabbriche e centri di distribuzione in tutto il mondo. Complessivamente la Germania guadagna un massiccio 46% del suo GDP vendendo prodotti all’estero, più di qualsiasi importante Paese. Persino Cina e Giappone, due altri grandi beneficiari del commercio globale, generano grazie alle esportazioni soltanto il 20% e il 18% del loro GDP.

 

Pure con questi vantaggi, i tedeschi sono stati sinora riluttanti a coinvolgersi in qualsivoglia serio dibattito sulle responsabilità del Paese a mantenere l’ordine mondiale. Anche dopo la Guerra Fredda e la riunificazione poco è cambiato. Durante la prima guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait da Saddam, la Germania ha mandato un assegno invece di soldati. Meno di dieci anni fa, dopo l’invasione Russa della Georgia, Berlino ha fermato la pianificazione di contingenza della Nato circa un possibile confronto con la Russia per timore che tali piani potessero antagonizzare Mosca. Tra le élites tedesche, qualsiasi cosa diversa da una pace perpetua sul continente appare impensabile. Da allora gli eventi in Europa hanno costretto la Germania a assumere maggiori responsabilità. La crisi del debito in Europa o nell’Eurozona non si è ridimensionata finché il Cancelliere Merkel non ha messo il peso finanziario della Germania a sostegno di interventi predisposti frettolosamente. E dall’annessione Russa della Crimea nel 2014 Merkel ha guidato la risposta dell’Europa all’aggressione di Mosca. Ma ogni volta la Germania ha assunto la sua leadership in modo riluttante, all’ultimo minuto, e senza una visone ampia dei suoi obiettivi e del suo ruolo nel mondo. Trump rappresenta un netto impulso al cambiamento nel modo di pensare dei tedeschi.

 

La Germania deve ottenere che l’UE si assuma parte dell’onere di una leadership militare sinora esercitata dagli Stati Uniti‎. L’inizio è stato importante: nel 2016 Berlino ha aumentato il bilancio della Bundeswher per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda. Quest’anno ci sarà un’altra crescita dell’8%, pari a 3,1 Miliardi di Euro, una parte significativa dei 12 Miliardi di Euro aggiuntivi impegnati dai paesi Nato non-Usa prima delle elezioni americane.

‎A ciò si aggiunga la creazione di un nuovo “cyber and information warfare command”, l’acquisto per 500 milioni di dollari di veicoli blindati per le truppe tedesche in Afghanistan, e di nuove fregate per proteggere le rotte commerciali dalla pirateria.

Per meglio coordinare la Difesa Europea le Bundeswehr opera con forze congiunte insieme a Francia, Olanda, Polonia, Romania e altri paesi come l’Italia, in “cooperazioni strutturate” che potrebbero perfettamente inserirsi in un più completo disegno di forza di combattimento pan-europea tra tutti i 27/28 Paesi dell’Unione. Su questo sfondo, si staglia un possibile nuovo ruolo tedesco, soprattutto se si considera il significato della decisione presa da un lato di fornire il principale contingente della forza multinazionale in Lituania‎, e l’annuncio Macron- Merkel per lo sviluppo congiunto di un aereo da combattimento per la prossima generazione. Crescita di ruolo e sostanziale condivisione di tale scelta con la Francia sembrano fare così del “motore franco- tedesco” un elemento di fondamentale impulso per la Difesa europea. Il problema è come raccordare questa linea di tendenza al quadro più ampio rappresentato dagli altri principali attori dell’Unione, e non solo da loro. Il “playfield” idoneo deve essere la “Cyber Defense”.[8]

 

  1. Opzioni, strumenti, obiettivi.

Si tratta ora -per l’Unione- di:

  1. a) maturare volontà politica e coesione necessaria per avvalersi di  strumenti definiti da tempo, che abbiano un’effettiva capacità di prevenire   e rispondere alle sfide che si addensano sulla nostra sicurezza;
  2. b) valutare se strumenti nuovi – sempre più rilevanti negli apparati e strategie di difesa di alcuni Stati nazionali, come le potenze nucleari ma non solo quelle- debbano avvalersi della “cooperazione strutturata permanente – PESCO” rivolta alla Cyber Security e Cyber Defence facendo dell’Eurozona il fondamentale punto di partenza.

 

  1. a) Sul primo aspetto, quello degli strumenti definiti da tempo, si deve ricordare che la UE ha un potenziale militare non del tutto esplorato, che può fare dell’Unione un produttore di sicurezza efficace e moderno attraverso le PESCO,il  Military Planning and Conduct Capability- MPCC- e il Fondo Europeo della Difesa. Per attuarle entrano in gioco tre linee di azione e tre protagonisti: il Servizio Europeo per l’Azione Esterna, gli Stati Membri, la Commissione. L’MPCC è un passo modesto ma di rilievo simbolico e in prospettiva politico. Si tratta di un ventaglio in cui non sono solo gli Stati Membri i protagonisti, come nella classica discussione sulla Difesa Europea, ma anche la Commissione. Questo aggiunge, al di là delle distinzioni codificate nei Trattati, una visione “comunitaria” . L’avvio della Brexit ha, tra l’altro, coinciso con il lancio della Strategia Globale dell’Unione Europea da parte dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini.

 

L’Unione si è dotata, inoltre, di un non trascurabile piano di incentivi attraverso il Fondo Europeo della Difesa. Qui vediamo all’opera un’altra significativa potenzialità dell’Unione Europea. La Commissione ha varato il 7 giugno scorso questo nuovo strumento, che intende cominciare a mobilitare risorse comuni per sostenere gli investimenti degli Stati Membri in materia di capacità difensive, con una priorità di principio per i programmi cooperativi. La Commissione può far leva sul proprio potere regolatorio per superare la frammentazione, le duplicazioni, e le incoerenze nell’insieme dell’industria europea per la Difesa e ciò potrà trovare riscontro soprattutto per i nuovi programmi che saranno lanciati per la difesa europea.

 

Un impegno credibile dei Paesi europei in direzione di una Difesa Europea presuppone una convergente linea propositiva, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di programmi elettorali che rispondano alle preoccupazioni diffuse tra gli europei per le minacce provenienti dal terrorismo, dalle tensioni globali e regionali che pregiudicano la loro sicurezza. Ma quanto viene e può essere speso, per colmare almeno -nell’immediato- il considerevolissimo divario tra impegni assunti e stanziamenti disponibili, anche in ambito Atlantico, da almeno un quinquennio?

 

Bisogna sgomberare anzitutto il terreno dalla perniciosa illusione che una Difesa Europea possa tradursi in un saldo netto di risparmi, anzichè di pesanti oneri aggiuntivi per i bilanci nazionali. Il grado di “readiness” di quelle che erano da sempre, negli ultimi vent’anni, considerate le Forze armate più affidabili dei principali Pesi europei hanno mostrato inadeguatezze impressionanti quando si è constatato come non ci fosse personale, finanziamenti e mezzi sufficienti a sostenere nel tempo le operazioni antiterrorismo in Sahel, Niger, Chad, Nord Africa, in Medio oriente, o a partecipare ai pattugliamenti nel Mediterraneo e nel Golfo, o a contribuire adeguatamente ai diversi teatri di peacekeeping in Africa, o e lanciare missioni PESC/PESD in cruciali zone di crisi.

 

Per fare l’esempio dell’Italia, il nostro bilancio Difesa, per la funzione difesa, equivale a circa 1,1% del PIL nella migliore delle ipotesi, non comprendendovi forze come l’Arma dei Carabinieri che in prevalenza svolgono compiti di ordine pubblico e non di Difesa. Quindi, da un quinquennio siamo al disotto di circa un punto per cento, pari a circa 18 miliardi €, rispetto al contributo che siamo collettivamente impegnati a fornire alla Difesa dell’Europa, attraverso l’Alleanza Atlantica. Stando agli impegni, in cinque anni avremmo dovuto destinare alla Difesa circa 90 mld€ in più. Ma è probabile che anche il 2% del PIL non sarebbe più sufficiente se gli Stati Uniti riducessero- come hanno detto di voler fare- il loro contributo alla NATO, e quindi alla Difesa dell’Europa. Attualmente  il 75% del bilancio Nato grava sugli Stati Uniti. Il 2% per il contributo richiesto a ogni singola nazione NATO non tiene conto della deterrenza nucleare, oggi assicurata all’Europa dagli Stati Uniti.

 

Il problema dei Bilanci per la Difesa deve comunque essere affrontato. Se, ad esempio, sembra ormai quasi scontato che le “spese per investimento” devono essere scorporate dal deficit massimo annualmente consentito ai Paesi UE, sarebbe del tutto incomprensibile che “investimenti” destinati alla Difesa e alla sicurezza nazionale- quindi, a funzioni che riguardano la vita e la libertà dei cittadini, certamente ancor più rilevanti di quelli pur fondamentali della crescita e dell’occupazione- non fossero scorporati dalle spese considerate nel tetto del deficit.

 

Si tratta di un punto estremamente importante per l’Italia che si trova tra i fanalini di coda quanto a livello delle sue contribuzioni.[9]

 

Se vogliamo avere voce in capitolo al tavolo che decide dei programmi militari, dei progetti industriali, e nell’Agenzia degli Armamenti, questo non avverrà a costo zero. E’ evidente a tutti che si tratta di questioni politicamente difficili da gestire, soprattutto se affrontate senza una visione d’insieme dell’interesse nazionale e della consapevolezza che i governi intendono fornire ai cittadini delle priorità, e dei sacrifici finanziari, che la sicurezza dei nostri Paesi richiede. Non può che deludere il segnale dato da Macron nella sua contrapposizione con il Capo di Stato Maggiore della Difesa francese, dimissionario per protesta contro il taglio di un miliardo € disposto dal nuovo Governo francese.

 

A un recente dibattito del Circolo Studi Diplomatici[10] un relatore ha giustamente osservato che in questo settore ogni Governo nazionale deve far fronte contemporaneamente a due necessità contrastanti, cioè dimostrare ai propri cittadini, in tempi di irenismo diffuso e di marce di Assisi, che le spese per la difesa non sono una delle sue priorità e nello stesso tempo convincere gli altri membri della Alleanza che non sta cercando discaricare su di loro la propria parte dell’onere comune… In più la compilazione dei bilanci è arte complessa e quindi in pressoché tutti i paesi le spese di questo settore finiscono con l’essere spalmate su diversi dicasteri, una procedura che la progressiva crescita del concetto di “dual use” rende di giorno in giorno più facile … Contribuisce infine ad aumentare la confusione anche il modo in cui, in anni di terrorismo rampante, sicurezza interna e sicurezza esterna sono divenute due facce della medesima medaglia. Difficile quindi, in tali condizioni, distinguere nettamente tra spese di polizia e spese militari.”

 

  1. b) Quanto agli strumenti e agli obiettivi dai quali partire per un “modello di Difesa Europea”, è interessante notare come le incertezze sulla solidità del rapporto transatlantico insorte nei primi mesi della presidenza Trump, e forse mai del tutto sopite almeno in alcune capitali dell’Alleanza, abbia stimolato un dibattito sulla deterrenza nucleare su cui i Paesi europei non nucleari possano fare affidamento (“l’ombrello nucleare”).

 

Ancor più dopo l’avvio della Brexit, alcuni analisti hanno ventilato l’idea che la ”force de frappe” francese possa venire condivisa con gli altri partner dell’Unione in un grande progetto di Difesa Europea. Trovo questa eventualità, onestamente, ancor più remota dopo aver ascoltato il discorso del Presidente Macron alla Conferenza degli Ambasciatori francesi del 29 Agosto. E’ parsa ancor più diretta e pronunciata, nella sua impostazione rispetto a quella del suo predecessore, l’enfasi sul ruolo nazionale della Francia nel mondo, sicuramente “sovraordinata” -almeno nella presentazione che ne ha voluto fare- a quella dell’Unione in tutte le questioni che riguardano la Difesa, la Sicurezza, l’interesse nazionale della Francia e dei Francesi. Pensare che sia questo il momento propizio per suggerire a Parigi di condividere con altri il “sancta sanctorum” della Difesa nucleare, sembra per lo meno intempestivo.

 

Ma vi sono anche importanti ragioni di grande cautela.

La deterrenza nucleare assicurata a tutti i Paesi dell’Alleanza Atlantica costituisce un pilastro fondamentale per la sicurezza dell’Europa. Poggia su definite strategie, linee di comando, forze operative a “doppia capacità”- convenzionale e nucleare- su un sostegno politico mai messo realmente in discussione da parte dei Governi interessati. Non credo sia interesse europeo sollevare con i partner nucleari dell’Alleanza- Usa, UK e Francia- ipotesi che sovvertirebbero Trattati, intese, piani operativi e risorse senza che vi sia alcuna indicazione sufficientemente fondata da parte di Washington che le garanzie  esistenti saranno riviste , attenuate o sottoposte a nuove condizioni.

 

Una seconda considerazione riguarda le Forze Nucleari Intermedie (Intermediate Range Nuclear Forces-INF). Vi è preoccupazione alla Nato per asserite violazioni russe al Trattato INF firmato da Reagan e Gorbachev nel 1987. Se il quadro strategico e sub- strategico in Europa dovesse alterarsi, rendendo reale e non più ipotetico il paventato “decoupling” tra l’Europa l’America, la ricostituzione di una efficace deterrenza nucleare per i Paesi europei non può che avvenire in capo all’Alleanza Atlantica: per evidenti ragioni di esperienza, risorse, collegamenti tra i diversi livelli -strategici e di teatro- della difesa nucleare. Se ad esempio dovesse malauguratamente riproporsi la situazione che aveva portato negli anni ’80 allo spiegamento di sistemi INF per equilibrare l’aggressivo spiegamento di nuove armi nucleari sovietiche in Europa, una soluzione non potrà certo essere realisticamente trovata al difuori dell’Alleanza Atlantica nel suo insieme,  soltanto con la Francia.[11]

 

Invece di generare confusione sugli armamenti strategici, gli sforzi in direzione di una Difesa Europea dovrebbero rivolgersi a Cooperazioni Permanenti Strutturate (PESCO) innovative, che abbiano positivo impatto sulla “resilience” delle infrastrutture strategiche, e rispondano a obiettivi complessi, coinvolgendo la sfera  militare, l’intelligence, l’antiterrorismo, e la tutela dei dati informatici.

 

Con il Regolamento sulla Protezione dei Dati e la Direttiva sulla Sicurezza della Rete l’Unione Europea sta creando le premesse per un’evoluzione molto significativa della sicurezza informatica, della collaborazione tra pubblico e privato, e della interazione tra Paesi alleati per prevenire, resistere, e contrastare gli attacchi informatici.[12]

 

L’adozione – dopo due anni di lavori del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione- nel Luglio dello scorso anno di una normativa ampia e vincolante, sanzionata da precisi obblighi e responsabilità, sulla Protezione dei Dati è stata accompagnata dalla creazione di un “sistema strutturato” per la protezione di sei comparti strategici – energia, trasporti, credito, finanza, salute, risorse idriche – attraverso misure di rafforzamento della “prontezza operativa”, dello scambio di informazioni, della cooperazione sistematica tra Stati membri, e specialmente in caso di attacchi informatici. Completano il quadro la definizione di strategie nazionali, tra loro coerenti di cybersecurity, l’individuazione dei “business operators” di servizi essenziali, nonché dei “service providers”, la precisazione di standard obbligatori per i sistemi di sicurezza ai diversi livelli, e un nuovo mandato per l’Agenzia Europea per la sicurezza della Rete –ENISA-.

 

L’insieme di tutte queste misure entrerà in vigore il 25 Maggio 2018. Appare evidente il considerevole salto di qualità che si verrà a determinare, per l’Unione Europea, nell’”ambiente” della sicurezza informatica . Anche se per ora l’effetto “trasformativo” sulla cyber security  non è stato in alcun modo collegato al processo di integrazione militare e alla creazione di una Difesa Europea, l’insieme delle misure di rafforzamento va anche a diretto vantaggio e beneficio di capacità militari. Pensiamo ad esempio alla logistica, le risorse essenziali, le comunicazioni. Sarebbe difficile attuare il Regolamento GDPR e la Direttiva NIS senza un’approfondita interazione nello scambio di informazioni e di dati utili all’intelligence. Il terreno applicativo è tipicamente “dual use” e su di esso c’è ampio spazio per sviluppare strategie di Difesa anche di natura militare, di deterrenza, e di risposta. In prospettiva, riflettendo su alternative a una deterrenza europea di natura nucleare, si dovrebbe considerare il fatto che le “cyberweapons” possono essere tanto  strumenti di uso “convenzionale” della forza, quanto strumenti di “distruzione di massa” con effetti assimilabili a quelle dell’arma nucleare. [13]

 

L’integrazione nel campo della Difesa deve concentrarsi sulla dimensione Cyber per recuperare il tempo perduto da molti paesi europei in questo settore, e il nostro purtroppo non è quello che ne abbia perduto meno. Senza volersi rapportare alle esperienze maturate in questo settore dalle principali potenze mondiali, guardiamo ad esempio a quanto avvenuto in Israele, un Paese eminentemente agricolo nei primi vent’anni della sua indipendenza e successivamente, per deliberate scelte di una politica economica fortemente focalizzata su scienza e innovazione, e diventato leader riconosciuto nelle tecnologie più avanzate e cruciali tanto per la crescita economica che per la Difesa del Paese.

 

La decisione di dare alla dimensione Cyber la massima priorità nella Difesa e sicurezza del Paese fu presa da Benjamin Netanyahu nel 1999,incaricando i maggiori specialisti del Paese di creare le necessarie infrastrutture, di intraprendere massicci programmi formativi, e di collegare organicamente tutta la ricerca e sviluppo Cyber con gli apparati di intelligence e militari, le Università, le imprese. A quasi vent’anni da tale svolta, Israele costituisce oggi una realtà avanzatissima sia per il grado di sviluppo della sua dottrina strategica -sintetizzabile nel principio che la difesa del paese, e la deterrenza del suo apparato militare richiede anche capacità di risposta e di attacco- sia dell’innovazione continua e rapidissima che una miriade di entità civili e militari assicurano.

 

  1. Conclusioni.

L’Europa appare agli osservatori esterni come un gigante economico con difese gravemente inadeguate, nella Cyber Defence, persino più gravi e diffuse di quelle, peraltro considerevoli, della difesa convenzionale. Le scelte da fare sono perciò sull’impostazione di fondo, sulle risorse soprattutto umane, e sui rapporti tra settore pubblico e quello privato.

Il primo aspetto è la creazione di veri e credibili” Cyber Command‎”. FA, nell’articolo sulla Germania già citato, riporta la decisione tedesca di reclutare 14.500 specialisti per tale funzione. Un’attenta lettura dei documenti di strategia e dottrina militare, assimilabili al nostro “Libro Bianco”, di Francia e Gran Bretagna mostra come questi Paesi si stiano da tempo muovendo in tale direzione. Meno noto, data anche una certa evasività in argomento dell’ultimo Libro Bianco italiano, quanto si stia facendo da parte nostra. Una politica Europea di Difesa dovrebbe quindi mirare alla:

 

1) creazione di Cyber Command nazionali, almeno in una prima fase, tra loro compatibili e strutturati in modo da assicurare una stretta interoperabiltà attraverso strategie e regole di ingaggio condivise. Aspetto indubbiamente assai delicato data la tradizionale ritrosia degli apparati di intelligence, di protezione e  di controllo dei Dati, a condividere integralmente elementi essenziali alla funzione di comando anche con i più stretti alleati;

 

2) formazione e al reclutamento. Ancor più in questo che in altri comparti della Difesa, talento e preparazione individuale di ogni singolo operatore nella cybersecurity rappresenta la sfida di gran lunga più rilevante alla quale si confrontano i Paesi più avanzati. Dovunque c’è un divario enorme tra esigenza e disponibilità di personale qualificato. Non vi è differenza tra militare e civile. L’esperienza militare e la conoscenza delle tecniche di attacco risulta essenziale anche per gli specialisti nel settore civile. Si stima che solo negli Stati Uniti ci sia attualmente un “gap” di circa 220.000 specialisti di cyber security. Rapportando le dimensioni economiche americane con quelle europee, numero di abitanti, diverso stadio di sviluppo tra Ue e Usa nella sicurezza cyber, si deve ipotizzare che il “gap” per i 27/28 sia dell’ordine di alcune centinaia di migliaia di specialisti;

 

3) creare, nella formazione e nel reclutamento, una stretta interdipendenza tra FFAA, settori strategici dell’economia, e intelligence . Questa esigenza ha da tempo suggerito ai  Paesi più avanzati nella Cyber Defence programmi di incentivazione del talento e del merito sin dalle scuole superiori, mirati alle discipline scientifiche essenziali da perfezionare nel percorso universitario. Esistono varie forme di reclutamento “scorrevole” tra Amministrazioni della Difesa e impiego civile che potrebbero adattarsi anche a specifiche “collaborazioni rafforzate” in Europa. Si potrebbe pensare, in particolare, a iniziative “tipo Erasmus” destinate alla cyber defense e alla cyber security, con esperienze formative per una “specializzazione europea” quale base per una progressiva integrazione in questo cruciale settore della Difesa.

La trasformazione della sicurezza europea e della sua dimensione “Cyber” merita quindi di essere tenuta nella dovuta considerazione quando si discute di una Difesa Europea che prenda le mosse da Cooperazioni Permanenti e Strutturate, inizialmente dalla zona Euro date le caratteristiche alle quali abbiamo sopra accennato, per poi estendersi all’intera Unione. Anche perché nel nuovo mondo che abbiamo oggi di fronte – Internet of things, infrastrutture smart, case domotiche, auto a guida autonoma, droni, numero delle tecnologie vulnerabili e volume degli attacchi in atto- il 2017 rischia di essere l’anno con il numero più elevato di attacchi riusciti, con danni estremamente considerevoli di natura economica, e sensibili per la destabilizzazione delle democrazie liberali dell’Occidente.

 

[1] NOTA 1: Un approfondito dibattito ha sviluppato tutte queste tematiche nel corso di alcune  sessioni del Circolo Studi diplomatici. vd. Dialoghi diplomatici, “Perché una difesa europea?”, fascicoli di Giugno, Luglio e Agosto 2017.

[2] NOTA 2: vd Le Monde 28 Settembre 2017, “Le propositions francaises à la loupe”, sottolinea nel Discorso del Presidente Macron alla Sorbona il riferimento a un’Unione che deve sviluppare capacità autonome, complementari alla Nato, e una cooperazione permanente strutturata che permetta a Parigi e Berlino, e a altre capitali di procedere più rapidamente; forgiando una cultura strategica comune, un bilancio per la difesa, e una dottrina condivisa. Parigi intende dare l’esempio accogliendo militari di altri Paesi europei nelle sue Forze armate, nella prospettiva di una forza comune d’intervento.

 

[3] NOTA 3: CambridgeUniversityPress978-1-107-17722-2 – Tallinn Manual 2.0 on the International Law Applicable to Cyber Operations General editor Michael N. Schmitt.

 

[4] NOTA 4: Edward Luce, “The retreat of western liberalism”, Publishers Group West,2017.A pag. 172 e 173 Luce scrive ”..Il braccio destro di Putin, Vladislav Surkov, ha modellato gli strumenti che Putin utilizza per sviare l’attenzione, seminare confusione, e spianare il terreno tra verità e menzogna… Poco prima dell’annessione da parte di Putin della Crimea nel 2014 Surkov/Dubovitsky ha pubblicato una short story sulla ’prima guerra non- lineare di tutti contro tutti. Nessuno realmente sa da quale parte si trova, chi ricorre alla guerra, e per quale motivo …’ Ne approfittano, prosegue Luce, coloro che sono i migliori nello sfruttare le forze del caos, piuttosto che contrastarle. Putin è esemplare. Il suo uso della guerra d’informazione e delle operazioni psicologiche in Crimea hanno reato una miopia sufficiente a ingannare gli Ucraini. Nulla era vero. Tutto smentibile ”. Nello stesso senso, vd The Financial Times del 15 settembre 2017 “The General with a doctrine for Russia” sulla “Strategia Gerassimov”, Capo di Stato Maggiore della Federazione Russa. In un discorso pronunciato un anno prima dell’annessione della Crimea il Gen. Gerassimov aveva descritto ‘… un campo di battaglia ibrido, caratterizzato da misure non militari, politiche, economiche d’informazione e umanitarie … Le azioni a lunga distanza, senza contatti con il nemico, stanno diventando i principali mezzi per conseguire obiettivi di combattimento e operativi.”.

 

[5] NOTA 5: www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_133169.htm

 

[6] NOTA 6: New York Times,14 feb 2017 – Russia Deploys Missile, Violating Treaty and Challenging Trump.

Russia Reacts Angrily As U.S. Repeats Accusations On Treaty Violations https://www.rferl.org/a/russia…usa…treaty-inf/28459288.html; https://www.armscontrol.org/…/inf-treaty-survive-putin’s-new…29 apr 2017 – Some arms-control experts have argued that the Russian missile system, which is allegedly violating the INF treaty, is based on the Iskander.

 

[7] NOTA 7: Foreign Affairs, Settembre/Ottobre 2017, pagg. 2,9 e segg.

 

[8] NOTA 8: Fred Kaplan, “ Dark territory – The secret history of cyber war”, Simon§Schuster, 2016.

 

[9] NOTA 9: vd. www.affarinternazionali.it/2017/08/difesa-bilancio-italia-rimandata/.

 

[10] NOTA 10: “Dialoghi Diplomatici”, sopra citati.

[11] NOTA 11: Leopoldo Nuti, nel suo importante lavoro “La sfida nucleare- La politica estera italiana e le armi atomiche1945-1991”, Il Mulino, 2007, entra in dettaglio nel dibattito sui veri obiettivi dell’Europa a Sei nella collaborazione nucleare italo-francese , con la creazione dell’Euratom dopo la crisi di Suez, pagg. 125-169, nonché sulla “doppia decisione” del 1979 e lo schieramento dei missili Cruise in Italia dal 1983 al 1987, pag. 347-393.

 

[12] NOTA 12: The Economist , 16 Settembre: Learning the lessons of Equihack; mio intervento il 12 Settembre 2017 al Summit Mondiale sull’antiterrorismo dell’International Counter terrorism Center di Herzliya https://www.youtube.com/channel/UCFF6AXOSOmDH-bbCgywbhUg.

 

[13] NOTA 13: Fred Kaplan, op. cit., descrive la complessità del dibattito- anche negli Stati Uniti – su sicurezza e privacy da un lato, e sulla preminenza della dimensione Cyber nella Difesa:” Civil liberties advocates in Congress were not about to let a presidential decree blur the distinction (between freedoms and security). “And so the issue vanished… it emerged a dozen years later, after a spate of cyber intrusions during the Bill Clinton presidency… shocked the senior officials of the day – who didn’t remember Reagan’s NSA Directive- by the nation seemingly sudden vulnerability to this “new threat”, which was all but new!… The election of George W. Bush, the issue receded once more, at least to the public eye, especially after September 11, 2001… few cared about hypothetical cyber wars when the nation was charging into real ones with bullets and bombs… But behind closed doors, the Bush administration was weaving cyber war techniques with conventional war plans, and so were the military establishments of several other nations, friendly or otherwise… During Barack Obama presidency, cyberwarfare took off, emerging as one of the few sectors of the defence budget that soared while others stayed stagnant or declined… In the first three years -from 2009- the newly created Cyber Command tripled its budget from $2,7 billion to $7 billion, plus another $7 billion for cyber activities in the military … while the ranks of the attack teams swelled from 900 personnel to 4.000 to 14.000 foreseen at the end of the decade. The cyber field swelled worldwide. By the midpoint of Obama presidency, more than twenty nations had formed cyber warfare units. Each day brought reports of cyber attacks mounted by China, Russia, Iran, Syria, North Korea and others against computer networks of not just the Pentagon, and defense contractors, but also banks, retailers, electric power grids …”.

 

©2024 Giulio Terzi

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