Discorso Guna

“Guna S.p.a.” Milano, 20 Ottobre 2014

Sono particolarmente grato a Guna e al suo Presidente Alessandro Pizzòccaro per avermi invitato oggi qui per riflettere – com’è tradizione per tutti Voi da alcuni anni – sulla attualità della  esperienza Gandhiana e sul tema della non violenza applicato alla vita quotidiana.

 

La mia gratitudine e’ accresciuta dal fatto che per chi come me si e’ occupato per tutta la vita di relazioni internazionali e’ davvero un privilegio e un’occasione potersi fermare e riflettere su questi temi.

 

Riflettere sulla maturazione del pensiero del Mahatma;

 

– sulla sorprendente trasformazione dell’ uomo e del suo carattere durante la sua esperienza terrena;

 

– sull’ azione sociale e politica di un Leader che ha trasformato una colonia dalle dimensioni continentali in un paese libero;

 

– sulla sua lotta, alimentata con mezzi diametralmente opposti a quelli – spesso violenti – che hanno guidato la decolonizzazione in ogni altro angolo del Pianeta;

 

Il suo metodo e’ stato come tutti sappiamo la “rivoluzione non violenta” anzichè  la rivolta armata;

 

* il metodo della fratellanza anziche’ della radicalizzazione dei conflitti inter-etnici e interreligiosi;

 

* il metodo della tolleranza, anziche’ della propaganda e della educazione all’odio e alla violenza;

 

* il metodo della crescita spirituale dell’individuo, anziche’ dell’affannosa ricerca dell’ appagamento materiale.

 

Solo così’, nel percorso non violento tracciato dal Mahatma, si afferma  per gli esseri umani e per  interi popoli la capacita’ di porsi al disopra delle repressionidi cui sono capaci i regimi dominatori e oppressivi .

 

Due questioni mi sembra che  meritino allora di essere poste sull’attualita’ di Gandhi in un mondo pervaso come e’ il nostro  dal ricorso quotidiano alla violenza.

 

Le forze della politica, dell’economia,della finanza,degli eserciti vengono sempre utilizzate quali mezzi per “regolare le controversie” tra  Stati;

 

– mettono in contrasto tra loro millenarie culture;

 

– generano conflitti tra le religioni;

 

– creano fratture insanabili tra fazioni politiche.

 

In un mondo

 

– dove la religione e’ usata  per promuovere e giustificare i comportamenti piu’ sanguinari e atroci;

 

– dove le responsabilita’ pubbliche sono esercitate troppo spesso per tornaconti personali;

 

– dove il servizio alla collettivita viene piegato a finalita’ di mero potere, anziché di utilità pubblica,

 

…in questo sistema di cose non vi e’ certo da sorprendersi che si manifestino archi di crisi così estesi e gravi da essere chiamati “guerra” anche da Papa Francesco. Una guerra “folle” come altre che l’hanno preceduta.

 

La prima questione riguarda quindi la possibilità per l’uomo contemporaneo di raccogliere l’insegnamento del Mahatma *concretamente*. Esiste questa possibilità? I Suoi insegnamenti sono destinati a cristallizzarsi come “l’eccellenza astratta di grande Uomo”, che però è distante da noi e dalle nostre battaglie quotidiane, o è possibile “trasportare” questi insegnamenti o parte di essi nella nostra vita di tutti i giorni…?

 

La seconda questione verte sulla capacità della Comunità internazionale di modificare comportamenti incompatibili con il principio della non violenza.

 

Una domanda dobbiamo porci: tolleranza religiosa e pluralismo politico possono e devono essere un elemento distintivo del rapporto che Oriente e Occidente hanno intessuto nella loro cultura, in quell’immenso patrimonio di civilta’ maturato negli ultimi tre millenni di Storia…?

 

Come scrive Michael Nagler nella prefazione al bellissimo libro di Eknath Easwaran, Gandhi The Man, “Gandhi era un grand’uomo, ancora piu’ grande di quanto avessi potuto immaginare, eppure – e questo era l’aspetto davvero straordinario – al  contrario di quel che avevo creduto, era RAGGIUNGIBILE.

 

Easwaran insisteva nel dire che esistevano discipline attraverso le quali una persona normale come me poteva nel tempo sviluppare in se’ una parte, seppur minima, delle colossali capacita’ del Mahatma. Questa allora è la sfida.

 

Gandhi aveva liberato l’India dal piu’ grande impero mai visto al mondo, e nel farlo dimostro’ che “il potere della violenza aveva perso il suo fascino”.

 

“Solo quando imparai a ridurmi a uno zero”, diceva Gandhi, “divenni capace di sviluppare la capacità profonda di attenermi alla verità per lottare contro la violenza”, ma escludendo nel modo piu’ assoluto di farvi ricorso, anche solo per ritorsione.

 

Il male, anche nella lotta politica, ha una sua realtà nella misura in cui lo nutriamo. Quante volte nella nostra attività di tutti i giorni ognuno di noi ha avuto la tentazione di “aggiustare la verità”, convinti come siamo che sia possibile scendere a patti con la realtà dei fatti per ottenerne un piccolo vantaggio personale con un collega o un superiore…? Siamo tutti peccatori, dice la nostra morale cristiana, ma nella filosofia Gandhiana si va oltre il concetto di peccato e di morale, perché per Gandhi “attenersi alla verità” significa  “togliere nutrimento al male”, e cio’ deve essere fatto tanto a livello individuale che collettivo. Attenerci alla verità: una sfida *enorme* per il nostro quotidiano, ma della quale dobbiamo percepire l’ambiziosa grandezza.

 

Ma vi è un ulteriore, importantissimo passo nell’esperienza gandhiana: l’esercizio della non violenza diventa veramente efficace attraverso un certo grado di sofferenza. Se la ragione non è da sola capace di cambiare il cuore delle persone, allora per cambiare ad esempio la discriminazione razziale vissuta da Gandhi, non vi e’ altro modo se non quello di rendere visibile, manifesta e penetrante la sofferenza. Anche in questo caso, “l’attenersi alla verità”, trasmettendo la nostra sofferenza, può venir trasformato in solidarietà, perchè in ogni essere umano esiste – per quanto possa essere nascosta – la consapevolezza di una comune umanità che ci unisce.

 

Per restare solo a questi elementari aspetti dell’ insegnamento contenuto nei discorsi del Mahatma e in una produzione epistolare e letteraria così prodigiosa da far sostenere a qualcuno che essa potrebbe competere con quella di Voltaire, colpisce come la portata del principio di non violenza ,della purificazione morale, della tolleranza e della sofferenza per testimoniare la verità, tocchino in egual misura la sfera individuale e la sfera collettiva di tutti noi.

 

Mi pare quindi agevole trovare nel ponte che collega il pensiero di Gandhi da un lato al Cristianesimo e dall’altro all’evoluzione della Comunità internazionale degli Stati, un ancoraggio – ancora incerto forse, ma decisamente suggestivo – ai valori dell’uomo e della società che si sono affermati con la creazione delle Nazioni Unite e la successiva affermazione del Diritto internazionale.

 

Tra i moltissimi scritti di Gandhi riferiti ai valori del Cristianesimo mi sembrano estremamente attuali quelli pubblicati da Young India:

 

“Dio non ha portato la Croce solo 1900 anni fa. La porta oggi e muore e risorge giorno per giorno”, oppure “Il Nuovo Testamento – dice ancora Gandhi – mi ha dato conforto e gioia infinita”

 

Sono passi che legano con efficacia unica e sintesi davvero mirabile la tradizione e la religione induista a quella cristiana nella componente essenziale dell’amore verso il prossimo, della solidarietà’, della spiritualità e della realizzazione morale dell’individuo contrapposta alla ricerca dei beni materiali e del potere. Avere sete di giustizia sino a essere perseguitati per una causa giusta è un esempio che dobbiamo fare nostro.

 

Ma la peculiarità di questi comuni principi è quella di essere RAGGIUNGIBILI dall’uomo nella sua esistenza terrena.

 

Ci troviamo quindi di fronte a quella che potremmo definire un’immensa comune forza culturale che ispira larga parte dell’intera umanità, tra Oriente e Occidente. Come tale, essa ha rappresentato e continua a costituire una forza gigantesca nell’orientare il corso della storia.

 

La cosa incredibile è notare come questi valori solo apparentemente “astratti ed alti” sono in realtà valori scritti a chiare lettere nell’atto costitutivo delle Nazioni Unite, dalla Carta di San Francisco alla ricchissima elaborazione giuridica che ne è derivata successivamente, non soltanto per le Nazioni Unite ma per tutte le Organizzazioni multilaterali e regionali che sul piano dei diritti e delle liberta fondamentali dell’uomo alle Nazioni Unite si collegano, come l’Unione Europea, l’Organizzazione per la Sicurezza e cooperazione in Europa, l’Alleanza Atlantica, l ‘Organizzazione degli Stati Americani, l’Unione Africana.

 

Quanto il rifiuto della violenza e della guerra sia posto al vertice del sistema di valori sottoscritto dall’intera Comunita’ internazionale, per essere poi elaborato in una serie nutrita di meccanismi e norme per la soluzione pacifica delle controversie internazionali, lo si coglie già perfettamente nell’incipit stesso della Carta delle Nazioni Unite, il Preambolo, che vorrei leggervi, perché davvero fa riflettere:

 

“Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignita’e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole,a creare le condizioni in cui la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai Trattati e dal diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale e un piu’elevato tenore di vita in una piu’ ampia libertà’, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, a unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza, ad assicurare che la forza delle armi non sarà più usata, salvo che nell’interesse comune, ad impegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico di tutti i popoli, noi popoli delle Nazioni Unite abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.”

 

Cinquanta Paesi hanno sottoscritto questi principi, il 26 giugno 1945,  principi e che ora vincolano 193 Stati membri delle Nazioni Unite.

 

Certo, si tratta di norme che – come tutte le cose dell’uomo – non vengono sempre applicate con la necessaria fermezza, e la storia di guerra e violenza degli ultimi settant’anni, e ancora di oggi, è li a dimostrarlo, travolgendo le nostre coscienze di uomini.

 

Ma Gandhi era perfettamente consapevole delle difficoltà insite nella natura umana, e diceva: “Ci vorrà probabilmente molto tempo prima che la legge dell’amore sia riconosciuta negli affari internazionali, perché  meccanismi dei Governi si frappongono tra i cuori di un popolo e quelli di un altro.”

 

Ma il rifiuto gandhiano della guerra e della violenza per risolvere le controversie appartiene alla sfera dei valori assoluti. Essa è “immorale, perché – dice Gandhi – la libertà conquistata con il sangue o con l’inganno non è vera libertà”. Prova ne sia che nelle stesse terre indiane, che hanno visto fiorire e diffondersi la religione e la cultura della pace e della non violenza, soffriamo aggressioni tra Stati, massacri e crimini perpetrati in nome della religione contro ogni valore di umanità e di verità, viviamo l’intolleranza religiosa persino tra Hindu e Cristiani, la negazione dell’uguaglianza nella discriminazione tra caste, tra ricchezza e povertà estrema, la diffusione delle armi nucleari di distruzione di massa perfino nei mondi che sono stati la culla della cultura della pace e della non violenza…

 

Per questo è oggi più che mai importante essere qui, tra voi, a rendere una testimonianza: una testimonianza che deve ripetersi ogni giorno nel nostro pensiero e nella nostra coscienza, in famiglia come sul lavoro, perché una domanda provocatoria innanzitutto ci porta a far luce sulla verità: chi di noi è a favore della guerra, con il pesante carico di sofferenze che si porta appresso…? Nessuno. Chi di noi vorrebbe un mando più sereno, un mondo di pace? Tutti. Ebbene, come possiamo pretendere che questi principi vengano applicati su larga scala se neppure noi nel nostro piccolo non siamo disponibili a rinunciare a qualche misero vantaggio personale pur di affermare i principi di verità e giustizia? Quante volte siamo venuti a patti con la verità pur di fare migliore figura con colleghi e superiori sul posto di lavoro, evitare un richiamo disciplinare,  o dare maggiore impulso alla nostra carriera? Ecco, allora ogni volta che ci comportiamo così il muro si incrina: troviamo un motivo apparentemente giusto per allontanarci da una visione di verità. Ma la verità non è che il termometro di ciò che è giusto: se non è giusto, non può essere vero, e viceversa. E – sul lungo periodo – la verità rende onore al giusto: ogni qual volta troviamo la forza per pagare un piccolo prezzo personale di sofferenza pur di affermare la verità, cresciamo noi stessi, ci rafforziamo, ci attrezziamo meglio per vincere le sfide successive, e facciamo crescere il gruppo al quale apparteniamo.

 

L’ONU ha dichiarato il 2 ottobre – giorno della nascita del Mahatma – la Giornata Internazionale della Non violenza. In questo senso il suo insegnamento di pace “impegna” tutto il mondo, inclusi noi presenti qui oggi.

 

La società internazionale, come dimostra in modo forse simbolico ma efficace questa Giornata delle Nazioni Unite, sta a mio avviso evolvendo verso una forma di “autocoscienza”. Sbagliamo, quando imbocchiamo la strada della risposta violenza, nelle piccole come nelle grandi cose, ma se non altro “sappiamo di sbagliare”, e questo è già un’enorme passo avanti in termini di consapevolezza, perché solo l’accesso alla verità può nel tempo determinare scelte più giuste.

 

Nelle *estreme difficoltà* delle vicende  che ci coinvolgono ogni giorno, questa autocoscienza collettiva riflette in ultima analisi la *fiducia assoluta* che sul male e sulla menzogna si possa e si debba sempre affermare la verità.

 

Grazie a Voi per avermi accolto qui oggi, e buona Giornata della Pace e della Non Violenza.

 

©2024 Giulio Terzi

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