Discorso “Le imprese lombarde ed i mercati globali: come creare valore”

Convegno “Le imprese lombarde ed i mercati globali: come creare valore”

Palazzo dei Giureconsulti, Milano, 29 novembre 2012

 

Sono particolarmente lieto di essere oggi qui a Milano, che rappresenta la “punta di diamante” – e spesso anche la “trincea” – dei processi di creazione di valore dell’economia italiana.

Per meglio contestualizzare il mio intervento, voglio ricordare alcuni dati di fondo della Lombardia. In base ai dati ISTAT, questa Regione produce il 20% del PIL nazionale e rappresenta l’architrave che rende tuttora l’Italia la quinta potenza manifatturiera al mondo e la seconda in Europa. Le stime Assolombarda segnalano che il 60% delle imprese dell’area milanese è attivo sui mercati esteri, spesso presidiandoli direttamente tramite uffici di rappresentanza o filiali di vendita o assistenza. In media, ogni impresa milanese internazionalizzata è attiva in 14 Paesi diversi ed un’impresa lombarda su dieci include capitale estero.

Secondo lo studio di Bankitalia del giugno scorso sull’economia lombarda, la componente più dinamica, di fronte a consumi in calo o stagnanti e ad investimenti in moderata ripresa nel 2013 dopo il crollo del 2012, rimarranno le esportazioni che hanno il seguente significativo andamento: +6,4% nel 2011; + 3,3% nel 2012; + 4,4% nel 2013; + 5,2% nel 2014 e anni seguenti. Lo stesso studio segnala che le imprese che hanno aumentato il fatturato nel 2011 sono state maggiormente quelle che, per far fronte alla crisi 2007-2009, avevano adottato strategie di internazionalizzazione, intese come ampliamento della penetrazione commerciale, investimenti diretti o stipula di accordi per la produzione all’estero.

E’ dunque evidente che l’internazionalizzazione è la migliore risposta strategica alla crisi.

 

Nell’ottica delle mie funzioni, il tema odierno merita un’approfondita disamina, su cui porterò esempi concreti di iniziative Farnesina. Mi piace innanzitutto registrare che il sistema imprenditoriale lombardo mantiene un costante raccordo con le Istituzioni nazionali e con quelle preposte a vario titolo al sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese.

 

Creare valore in un’azienda è qualcosa di più del fatturato e dello stesso profitto. Creare valore significa innescare un processo di crescita duratura e sostenibile dell’impresa e significa posizionarla saldamente nella competizione globale.

In connessione, vorrei indicare cosa significhi e in cosa consista la diplomazia per la crescita, che ho avviato nel Governo Monti quale salto di qualità della diplomazia economica italiana.

La nostra rete diplomatica ha ormai ben recepito, nei suoi compiti istituzionali, la missione di sostegno e di accompagnamento delle aziende italiane, sia nella fase di scouting che di lobbying, così come nella parte più strettamente promozionale e di immagine. Abbiamo poi ricreato, assieme al MSE, la nuova ICE che si è alleggerita delle pletoriche sedi regionali per concentrarsi meglio sui mercati mondiali, soprattutto a favore delle PMI.

Ma la novità consiste nel porre la diplomazia in diretto raccordo e sinergia con le politiche di competitività per il sistema economico italiano.

Qualche esempio.  Le numerose missioni che ho promosso e che ho effettuato – ne farò poi un riepilogo- con qualificate delegazioni imprenditoriali non hanno rappresentato solo un’occasione per presentare l’eccellenza del Made in Italy, sia esso di consumo o tecnologico, su nuovi mercati. Queste missioni all’estero, così come le visite straniere e le Country Presentations in Farnesina, hanno concorso a spiegare perché l’Italia non è più un problema europeo bensì parte della soluzione, perché le aziende italiane riescono ad internazionalizzarsi portando valore aggiunto dove si insediano, perché i territori italiani hanno una traiettoria di sostenibilità nel tempo superiore a molti dei sistemi-paese concorrenti.

Stiamo coniugando le politiche tradizionali “push” di promotion pubblica – finalizzate a “spingere” i prodotti italiani sui mercati esteri – con politiche più innovative di tipo “pull”, mirate ad attrarre le catene globali del valore verso il territorio italiano e le sue risorse umane.

La valorizzazione dei territori e dei distretti produttivi resta intimamente connessa alla promozione del “marchio Italia”, fatto di reputazione, di tradizioni e di nuovi saperi, quale affermazione più completa di quel “Made in Italy” che – aldilà delle sue varie declinazioni – ha come fattor comune l’enfasi su fattori immateriali ed “intangibili” connessi a valori storico-culturali capaci di rinnovarsi. E’ questo il senso di grandi Rassegne in preparazione dalla diplomazia italiana, quali il 2013 Anno dell’Italia negli USA e nel Giappone.

E’ poi ben noto, qui a Milano, l’impegno della Farnesina, mio personale, delle strutture centrali e della rete estera per sostenere un’ampia partecipazione internazionale, improntata su approcci qualitativi innovativi, all’Expo 2015. Proprio pochi giorni fa il governo di Pechino è venuto alla Farnesina per preannunciarci sia un flusso di un milione di turisti cinesi per l’evento che un padiglione emblematico della nuova Cina proiettata verso la sostenibilità e l’efficienza.

Su un versante complementare, immediato è il nesso tra consolidamento fiscale italiano ed iniziative per l’internazionalizzazione in entrata, cioè gli investimenti stranieri in Italia, di portafoglio e diretti. La politica di bilancio di un Paese e la sostenibilità del suo debito sono fattori-chiave cui gli investitori internazionali guardano prioritariamente per le proprie scelte di portafoglio e per le localizzazioni degli investimenti diretti esteri. Portare a termine il percorso di risanamento delle finanze pubbliche è dunque un obiettivo difficile ma necessario al tempo stesso, perché è il principale segno di credibilità di un Paese.  La recente missione nel Golfo del Presidente del Consiglio testimonia quanto il sistema-Italia sia tornato ad essere attraente per gli investitori esteri. L’accordo concluso fra il Fondo Strategico Italiano di Cassa Depositi e Prestiti e la Qatar Holding per la costituzione di una joint-venture finalizzata ad investire nell’eccellenza italiana di alta gamma conferma il potenziale di espansione delle nostre produzioni e dei nostri marchi.

Il Governo ha poi avviato un’azione di adattamento degli strumenti di sostegno e di indirizzo. E’ stata costituita –come ho già accennato- la nuova Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese in sostituzione della vecchia ICE, sotto la vigilanza congiunta del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero degli Affari Esteri con Unità operative all’estero, operanti nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche e consolari sotto la direzione dei Capi Missione. Le linee-guida e di indirizzo strategico del sistema di promozione, comprensive della programmazione delle risorse, sono affidate ad una Cabina di Regia. Di essa fanno parte, oltre al Ministro degli Esteri e al Ministro dello Sviluppo Economico, che la co-presiedono, anche altre Istituzioni e Associazioni rappresentative del mondo produttivo impegnate nell’internazionalizzazione della nostra economia.

 

Diplomazia per la crescita significa anche orientare le imprese verso i nuovi mercati emergenti, anche oltre i BRIC, poiché il valore aggiunto degli sforzi di internazionalizzazione vi trova un moltiplicatore.

L’area extra-UE, pur registrando tassi di crescita più alti nell’export della Lombardia, conta una quota del 44% sul totale esportato. La quota dell’export lombardo verso i BRIC è ancora pari all’8%.

In questo anno di Governo ho promosso un’intensa azione con missioni all’estero ed eventi in Farnesina che hanno riguardato tutte le aree regionali.

Mi limito ad un breve riepilogo. Ho guidato qualificate delegazioni imprenditoriali in Vietnam, Singapore, India, Indonesia, Brunei, Myanmar, Algeria, Libia, Etiopia e Mozambico, mentre il Sottosegretario Dassù è stata in Brasile, Colombia, Cile e, a giorni, Perù ed il Sottosegretario de Mistura in Uganda ed Australia. Una folta missione economica, organizzata da MAE, MSE, Confindustria, RETE-Imprese e ABI si è recata in Turchia. Country presentations in Italia per favorire investimenti e integrazioni produttive sono state effettuate in Farnesina, con partecipazioni a livello politico, da Etiopia, Iraq, Colombia, Angola, Mozambico, Vietnam, Messico, Autorità Nazionale Palestinese.

In connessione con la visita dell’Emiro del Qatar, si sono svolti alla Farnesina incontri tra il Fondo sovrano qatarino e i maggiori interlocutori italiani per individuare le possibilità di investimento in Italia. Nella stessa ottica ho ricevuto i vertici del CIC cinese e della Camera di Commercio Internazionale della Cina.

Nel marzo scorso, un Forum alla Farnesina su ASEAN Awareness, con la presenza di oltre cento imprese e di Ministri o Vice Ministri di tutti i paesi interessati, ha stimolato l’interesse del mondo imprenditoriale italiano per questa area di oltre 600 milioni di abitanti, in forte crescita e con un accentuato processo di integrazione economica in corso al suo interno.

 

Nel mondo è in corso un “cambiamento di paradigma”, con la transizione della comunità internazionale in direzione di un sistema policentrico. La marcata redistribuzione dei pesi tra le economie era già evidente – come processo irreversibile – alla fine degli anni novanta, ma si è ulteriormente accentuata a seguito della crisi del 2008.

Alcuni dati sono eloquenti: secondo il Fondo Monetario, dal 2001 al 2012 il peso dei G7 rispetto al PIL mondiale (a parità di potere d’acquisto) è sceso dal 48% al 38%, mentre il contributo delle emerging market and developing economies è cresciuto dal 38% al 50% (le aree meno avanzate valgono il 12%).

Le proiezioni indicano che attorno al 2020 un nuovo, parallelo “G7” (integrando Brasile, Russia, India e Cina, cioè i BRIC, con Indonesia, Messico e Turchia) potrebbe sopravanzare in termini di PIL il raggruppamento dei sette Paesi “industrializzati” costituito nel 1975.

La questione di fondo che impegna i Paesi OCSE è come riscontrare con una rinnovata offerta diplomatica lo “shift of wealth and power from the West to the Rest”.

Diplomazia per la crescita significa anche posizionare l’Italia come major player laddove si riscrivono le regole e battersi per standards che pongano le nostre aziende su un piano di parità senza indebiti vantaggi competitivi altrui.

Un percorso di mutuo avvicinamento fra economie avanzate ed emergenti sulla base di regole universali rappresenta un processo complesso e fondamentale non solo per i futuri assetti del multilateralismo economico, ma soprattutto per promuovere un più equo “terreno di gioco” nella competizione globale fra imprese e fra sistemi-Paese.

E’ per questo che, soprattutto con i grandi paesi, il Governo Monti persegue una strategia volta ad incrociare le classiche agende bilaterali con le questioni globali e a promuovere nei fori multilaterali, in primis il G8, il G20 e l’OCSE, una presa di coscienza di responsabilità ed opportunità comuni.

La Farnesina è impegnata, anche qui, ad operare un salto di qualità. Sono convinto che il perseguimento di una “diplomazia anticipativa”, volta a prevenire le criticità piuttosto che a gestirne le conseguenze, sia strettamente connesso all’elaborazione di “regole del gioco” condivise fra Paesi OCSE ed i nuovi attori dell’economia globale.

Faccio un esempio riguardante la protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Il sostegno al Made in Italy, in particolare nel settore agroalimentare, passa in primis attraverso la difesa attiva dalla concorrenza sleale dei marchi stranieri “Italian Sounding”, soprattutto nei mercati dell’America e dell’Asia. Il Governo registra un successo attraverso l’imminente entrata in vigore del nuovo Regolamento UE sulla tutela dei prodotti di qualità – fortemente voluto dalla Farnesina – che obbligherà gli Stati Membri UE a procedure d’ufficio per il sequestro dei prodotti che abusano delle denominazioni protette DOP ed IG.

 

La “diplomazia delle regole” diventa così una componente essenziale della strategia di sostegno all’internazionalizzazione del nostro sistema produttivo, al fine di promuovere – in ambito sia bilaterale che multilaterale – una genuina convergenza fra Paesi avanzati ed emergenti sulla base di meccanismi di “soft law”.

Constato peraltro sviluppi incoraggianti: alcuni Paesi like-minded hanno da tempo intrapreso un percorso di avvicinamento ai “global standards” promossi dai Paesi industrializzati in importanti ambiti della governance economica multilaterale. Corea, Messico e Cile sono membri a pieno titolo dell’OCSE e la Russia è in fase di adesione con obiettivo 2014.  Inoltre, un numero sempre più ampio di partner – fra cui Brasile, Cina, India, Sud Africa ed Indonesia – partecipa ai vari meccanismi di policy dialogue dell’OCSE in materia di lotta alla corruzione internazionale, cooperazione fiscale, aiuto allo sviluppo, che spesso rappresentano il primo passo per l’adozione di standard comuni.

 

 

 

Diplomazia per la crescita significa, altresì, che le nostre politiche fiscali, del lavoro, della ricerca e innovazione, delle infrastrutture siano quanto più possibile modulate tenendo conto della dimensione internazionale. Certo, in tale approccio molto rimane da fare.

La “carta geografica” di cosa, dove, come e per chi produrre verrà sempre più riscritta in base alle differenze in termini di efficacia delle politiche che distingueranno l’Italia dai suoi partner.

Ad esempio, la fiscalità è sempre più un terreno di competizione internazionale. Se le punte estreme – i paradisi fiscali – si stanno riducendo grazie all’opera del Tax Forum internazionale sotto l’egida dell’OCSE, promosso dal G20, i paesi a fiscalità contenuta attraggono sempre più flussi finanziari. Per mantenere le entrate tributarie in valore assoluto, agli altri paesi non rimane che inasprire tendenzialmente sempre più la fiscalità sul lavoro. Adoperarsi per arrestare questa spirale sarà ormai lavoro anche delle diplomazie e non solo dei Dicasteri finanziari, in particolare perseguendo  un’armonizzazione fiscale europea e sollecitando uno standard minimo di welfare ai paesi emergenti.

Le politiche per la ricerca e l’innovazione hanno un senso compiuto ed efficace solo su un orizzonte internazionale che, anche qui, è fatto di cooperazione e di competizione al contempo.  Mi soffermo sull’energia e sul cambiamento climatico. La Green Economy è ormai riconosciuta come la chiave di volta che coniuga sostenibilità, avanzamento tecnologico e crescita.  Efficienza energetica e fonti rinnovabili ne sono due assi portanti. Le piattaforme di collaborazione tra Enti di ricerca ed imprese partono da iniziative diplomatiche. La Farnesina è ormai attiva da anni,  ma oggi vogliamo anche  sottolineare i collegamenti di natura geo-economica mediante il perseguimento della sicurezza energetica e quelli di natura geo-politica mediante il perseguimento della stabilità.

Non a caso io stesso ho promosso e poi firmato a settembre con i miei Omologhi di Grecia ed Albania, a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU a New York, il Memorandum d’Intesa governativo per la realizzazione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline/TAP per trasportare il gas azero in Europa attraverso l’Italia. Non a caso ho incontrato varie personalità dei paesi del Sahel, area ove i conflitti, la desertificazione e la malnutrizione rischiano di innescare nuove, dolorose migrazioni per cause politiche ed ambientali.

Non mi dilungo qui sui negoziati per le grandi infrastrutture fisiche che vedono sempre più la Farnesina coinvolta. E non penso solo ai progetti prioritari europei, che a vario titolo interessano tutte le nostre Regioni, ma mi riferisco anche alle progettualità di logistica per riposizionare l’Italia nei traffici internazionali, progettualità di primario interesse strategico e finanziario anche dei grandi paesi emergenti.

 

Stiamo aggiornando l’azione di supporto all’internazionalizzazione del nostro sistema produttivo, in modo da tener conto di quelle profonde trasformazioni intercorse negli ultimi anni nel “Made in Italy ben oltre quella che veniva definita la “nuova frontiera della delocalizzazione produttiva”.  La formazione di catene di fornitura internazionali e la ricombinazione delle produzioni – e dunque dei processi e dei fattori produttivi – fra Paesi hanno comportato la necessità di ridefinire i confini aziendali attraverso un’autentica espansione multinazionale.

Oggi ogni prodotto – non solo nei comparti ad alta tecnologia ma anche in quelli più tradizionali dei beni di consumo e del lifestyle – è la risultante di una “catena globale del valore’”, che integra numerose intermediazioni che travalicano frontiere e continenti. Attualmente, secondo i dati OMC, oltre il 56% del commercio mondiale dei prodotti manufatti ed il 73% del commercio di servizi riguarda beni intermedi.

La capacità dell’Italia di rafforzare la propria posizione come produttore di beni manufatti dipenderà dal ruolo che il nostro sistema economico saprà assumere nelle catene di fornitura globali. Il sistema manufatturiero italiano è sempre più specializzato nell’esportazione di beni di investimento ed intermedi (macchinari, metallurgia, autoveicoli, chimica, apparecchi elettrici), nonché nell’alta gamma dell’arredamento e della moda (in cui risulta ancor più decisiva la componente relativa all’innovazione). La Lombardia è senz’altro all’avanguardia in questo campo: le imprese internazionalizzate della regione sono infatti prevalentemente manifatturiere e per oltre il 70% di piccole dimensioni appartenenti principalmente ai comparti meccanico (17%), chimico-farmaceutico/gomma (16%), elettronico (12%) e metallurgico (12%). Un peso rilevante (27%) stanno acquisendo anche le imprese operanti nel settore dei servizi.  Interessante è il cluster transnazionale fra Lombardia, Piemonte, Baviera e Baden Württemberg nei settori della meccatronica e dell’automotive.

Come declinare questi cambiamenti strutturali della proiezione estera del sistema-Paese in una rinnovata azione a sostegno del “Made in Italy” nel mondo?

Io vedo quattro aree operative:

  • finanziamento all’export, in un’ottica di global value chains: su questo settore, già oggi l’Italia parte da posizioni di vantaggio. Siamo infatti il terzo fornitore europeo ed il quarto fornitore a livello OCSE di copertura assicurativa ufficiale, ciò che ci ha consentito di disporre di un importante strumento anticiclico durante la crisi finanziaria;
  • supporto all’individuazione di controparti commerciali, in primo luogo nell’ambito della grande distribuzione organizzata, per facilitare l’inserimento delle nostre produzioni nelle catene globali del valore, attraverso la presenza di una rete distributiva capillare sui territori.
  • attività di promotion rivolte non solo ai prodotti finiti ma anche ai beni intermedi ed alla componentistica che – per quanto meno visibili ed identificativi del “Made in Italy” nel mondo – contribuiscono a determinarne la competitività internazionale ed il valore aggiunto: oltre il 40 per cento del nostro export consiste in produzioni intermedie;
  • riassetto produttivo-territoriale per fare rete: dal momento che le dimensioni ridotte che caratterizzano la maggior parte delle imprese italiane rende più difficile lo sfruttamento di economie di scala, appare fondamentale favorire le aggregazioni territoriali che consentano di “collaborare per competere”. Numerosi fattori distintivi del Made in Italy nel mondo – creatività, design, “artigianalità industriale” – rappresentano un patrimonio non esclusivo della singola impresa ma condiviso dall’intera comunità territoriale in cui essa è radicata.

Tutto quello che ho illustrato è indice di un preciso approccio. Non è questo il tempo di restare in difesa, bensì di giocare in attacco. In estrema sintesi, la diplomazia per la crescita è fattore essenziale per la ripresa dell’economia italiana.

Il Governo è impegnato in un’azione a tutto campo, di cui la diplomazia è parte   integrante per portare più Italia nel mondo e più mondo in Italia; per sostenere le esportazioni verso i mercati emergenti a più alto potenziale di crescita; per favorire gli investimenti e le integrazioni produttive con le economie complementari alla nostra; per promuovere l’internazionalizzazione dei saperi, dei territori e della ricerca scientifica.  Sulla base di queste direttrici, sarà necessario assicurare nel prosieguo una continuità di fondo all’azione diplomatica, perché essa si consolidi come autentica “piattaforma di opportunità” per la crescita e la creazione di valore dell’intero Sistema Paese.

©2024 Giulio Terzi

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