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La Troika composta da Russia, Iran e Turchia si spartisce gli assetti futuri del Paese. Ne risulta (troppo) favorito l’espansionismo sciita di Teheran, grazie alla riluttanza dell’America obamiana e al silenzio assordante di Onu e Unione Europea

Di Giulio Terzi di Sant’Agata

Fonte: L’intraprendente

putinNelle ultime ore del 2016 il Consiglio di Sicurezza ha ratificato- con la Risoluzione 2366- l’accordo per la tregua in Siria ottenuta tre giorni prima da Russia,Iran e Turchia. La tregua avvia a conclusione-dopo la distruzione di Aleppo e la resa di tutti i ribelli che combattevano sia il regime siriano che lo Stato Islamico- quella “soluzione militare” dellaguerra civile siriana che era stata perseguita da più di un anno dalla Russia e dall’ Iran .

Solo con una netta vittoria come a Aleppo, infatti, i due principali sostenitori di Assad, Putin e Kamenei, erano disposti ad avviare un “percorso politico” per la Siria. Diversamente sarebbe stato problematico tenere in sella un regime sciita-alawita subordinato a Teheran e a Mosca. Che l’uso indiscriminato della forza – con crimini denunciati dalle Nazioni unite, ONG e Governi – dovesse precedere qualsiasi vero negoziato era stato fin troppo chiaro da tempo. Negli ultimi cinque anni i “negoziati di Ginevra” si sono impantanati nella totale indisponibilità russa e iraniana a considerare seriamente una transizione della Siria verso un sistema pluralista,rappresentativo delle diverse componenti e soprattutto della parte largamente maggioritaria della popolazione, che è sunnita e non sciita/alawita.

Riunitasi a Mosca giovedì 29 Dicembre, la ” Troika” – elogiata dal Ministro degli esteri russo per i meriti di questo strumento diplomatico caro alla tradizione del suo Paese – ha deciso praticamente tutto quello che si deve ora prevedere per la “soluzione politica”, considerandosi ormai compiuta la “soluzione militare”. Il fatto che lo Stato Islamico si sia ripreso Palmira e continui a effettuare attentati in Siria, in Turchia e altrove appare alla Troika poco rilevante.Non stinge più di tanto sulla “vittoria” proclamata trionfalmente da Assad e dai suoi sponsor: a dimostrazione che la condizione essenziale per un “percorso politico” non era mai stata tanto l’eliminazione dello Stato Islamicoquanto degli oppositori politici del Presidente Siriano.

La Troika russo-turco-iraniana ha promosso una tregua che consenta gli aiuti umanitari, l’evacuazione di Aleppo Est,e la convocazione entro poche settimane di una Conferenza sulla Siria: in Kazakistan, paese assai vicino per diversi motivi a Russia e Iran.

L’iniziativa della Troika russo-turco-iraniana è di estrema importanza: anzitutto perché attribuisce a questi tre Paesi una “primogenitura” che li legittima a guidare il percorso politico, senza, per ora, alcun coinvolgimento dell’Onu, degli Stati Uniti e dell’Europa (anche se un portavoce turco ha auspicato che ciò avvenga nelle fasi successive);in secondo luogo l’idea della Troika regala ai mullah iraniani un cartellino rosso contro qualsiasi gruppo dell’opposizione a Assad che possa contrastare i disegni di egemonia sciita regionale e sull’intero mondo islamico; riconosce a Teheran un “diritto a influire” nella regione che solo teoricamente corrisponde a quello della Russia e della Turchia: in realtà è assai più vasto e penetrante a causa dell’elevato numero di sciiti in SiriaIraqLibano, nel Golfo, e soprattutto per la presenza di decine di migliaia di miliziani armati e pagati da Teheran, sotto bandiera Hezbollah e di altre formazioni sciite.

Nella neo-costituita Troika un importante potere di veto spetta anche a Ankara: nei confronti, soprattutto, dei curdi siriani che per Erdogan sono legati al Pkk e sono già esclusi dal negoziato. Si rinsalda infine l’intesa russo-turca sulla Siria. Con tutta una serie di implicazioni che vanno aldilà del contesto siriano e di quello mediorientale. Quanto sia stata abile – pur se indotta anche da attacchi terroristici sulla cui origine nessuno mette la mano sul fuoco- l’inversione di rotta di Erdogan nei confronti di Putin lo si potrà capire meglio nei prossimi mesi. Come primo risultato, comunque, Erdogan avrebbe incassato da Putin la creazione di una zona sicura in territorio siriano: ufficialmente per finalità umanitarie, come l’accoglienza degli sfollati.In realta per evitare la saldatura tra aree curdo-siriane a ridosso del confine turco. Da quattro anni Erdogan sollecitava da Obama una “no fly zone” per gli stessi motivi. Di fatto l’ha ora ottenuta dal nuovo amico russo. D’altra parte un avvicinamento di Ankara a Mosca che corrisponda a un raffreddamento verso la Nato e l’UE costituisce un considerevole investimento per Putin e per la sua linea di crescente ostilità nei confronti di entrambe. Al tempo stesso, essendo sempre più vista come un partner problematico, la Turchia accresce il suo “status”e peso negoziale. Lo vedremo al prossimo Vertice Nato e con le richieste che Ankara probabilmente avanzerà per attuare l’accordo sui migranti.

L’Idra siriana ha così generato – e non era certo difficile prevederlo per quanti hanno dal 2012 sollecitato invano un ben diverso impegno occidentale in Siria – una vera rivoluzione nel contesto mediorientale. Essa coinvolge equilibri e interessi molto estesi. Averlo sottovalutato, e voluto ignorare, è stata una grave responsabilità dell’Occidente.

Dopo aver dominato la scena militare in Siria e nel Mediterraneo orientale, oltre che nel corso del 2014 nella crisi ucraina e l’annessione della Crimea, Putin appare oggi a larghi strati dell’opinione pubblica europea e americana come il regista assoluto della diplomazia internazionale, lo statista della pace che sa come ricorrere alla forza per annientare il terrorismo islamico, e per far valere interessi nazionali russi. Interessi nazionali che sono percepiti con simpatia e spesso con aperto sostegno da personalità politiche europee e americane persino quando collidono vistosamente con quelli occidentali. Non deve pertanto sembrare troppo difficile a Mosca, o a Teheran, far rapidamente dimenticare quanto è accaduto a Aleppo e si sta ripetendo altrove.

SiriaSul palcoscenico del Palazzo di Vetro si è consumato, l’ultimo giorno del 2016, un altro atto della rappresentazione che vede da tempo Russia e Iran colmare vuoti causati dalla riluttanza americana a impegnarsi nella soluzione di crisi gravi come quella siriana, e dalla inadeguatezza europea nell’affermare una propria politica estera e di sicurezza. Pochi nutrono nostalgie per gli Accordi segreti conclusi nel Maggio 1916 dai plenipotenziari britannico e francese Sykes e Picot sull’Asia Minore. Con tali intese si spartivano le spoglie dell’impero Ottomano – alleato degli Imperi Centrali – tra le Potenze dell’Intesa nella Prima Guerra Mondiale: Gran Bretagna, Francia, Russia (uscita dalla spartizione nel 1917) e Italia ( alla quale veniva riconosciuta nel 1917 parte dell’Anatolia, promessa poi venuta meno per i successivi rivolgimenti in Turchia).‎ Si precisavano sfere di influenza su Stati definiti secondo criteri molto discutibili dal punto di vista della omogeneità e funzionalità amministrativa, ma rispondenti piuttosto alle politiche coloniali dell’epoca. E molti impegni assunti soprattutto dalla Gran Bretagna con i leaders arabi sunniti vennero disattesi.

A un secolo esatto di distanza la storia, ha osservato uno straordinario studioso del mondo Arabo come Gilles Kepel, sembra ripetersi con impressionante ‎precisione. Tuttavia le Potenze che si spartiscono le zone di influenza e vogliono ridisegnare i sistemi di governo non sono più quelle Occidentali, ma la Russia e l’Iran. Ancora una volta risultano penalizzati gli Arabi sunniti, come i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, e i circa quaranta milioni di sunniti che vivono in Siria e in Iraq. Diversamente dalla situazione di un secolo fa, caratterizzata dall’occupazione di uno spazio geopolitico- “lasciato libero” dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano – da parte di Potenze coloniali europee interessate alla creazione di entità statuali senza dominanti connotazioni confessionali, la riedizione attuale del modello Sykes – Picot contiene un elemento ulteriore di pericolosa instabilità e di grave contrasto. La teocrazia sciita iraniana si confronta a un mondo sunnita dove sempre più forte è il richiamo dell’Islam politico e del fondamentalismo. La ricomposizione di uno Stato siriano distrutto e di un Iraq in profonda crisi diventa ancor più ardua del compito che si erano posti i negoziatori del 1916.

La rappresentazione andata in scena a fine anno in un Consiglio di Sicurezza chiamato a ratificare le decisioni della Troika russo-turco iraniana ha mostrato i danni della vecchia politica basata su spartizioni e predomini regionali. Poteva essere invece l’occasione per i paesi occidentali in Consiglio di Sicurezza per levare una voce forte e chiara sui crimini contro l’umanità perpetrati in Siria. Si è sentita solo una critica americana, neppure tanto vibrata, al comportamento inaccettabile delle milizie sciite nella battaglia di Aleppo. La latitanza dell’Occidente sta producendo effetti perversi nell’oblio che le Nazioni unite, influenzate dalla Troika, sembrano riservare allo Stato di Diritto e ai Diritti Umani.

©2024 Giulio Terzi

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