I marò e le lobby dei grandi affari

L’Unione Sarda

30 Maggio 2014

“Una vergogna nazionale” condizionata da “lobbies affaristiche” e gestita in modo dilettantistico a danno dei nostri militari. Così Giulio Terzi, ex ministro degli esteri del Governo Monti, definisce la decisione di rimandare in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Accadde il 22 marzo 2013 e 4 giorni dopo Terzi intervenne alla camera e rassegnò le sue dimissioni suscitando lo stupore di Mario Monti. A 14 mesi da quei fatti la vicenda dei due marò accusati di duplice omicidio dalle autorità indiane è tutt’altro che conclusa. Martedì si è insediata la squadra di giuristi internazionali, guidata dall’ex capo del servizio giuridico Foreign Office britannico Daniel Bethlehem, chiamata dal ministro Federica Mogherini a seguire tecnicamente tutte le tappe dell’internazionalizzazione della vicenda. Terzi ne parlerà oggi alle 17 al TH Hotel di Cagliari durante una conferenza – dibattito dal titolo “Riportiamoli a casa” organizzata dall’associazione Il Destriero e moderata dall’avvocato Mariano De Logu.

Ambasciatore, ricostruisca quei giorni.
“Quando Latorre e Girone vennero in Italia il governo aveva deciso di trattenerli. Fu una decisione preparata accuratamente per settimane, con una pressante azione diplomatica in tutto il mondo, annunciata e spiegata dall’intero governo”.

Poi che cosa accadde?
“Ci fu un dietro front improvviso, istigato da persone che pensavano di compiacere l’India per il buon esito di affari già pesantemente compromessi”.

Chi sono queste persone e a quali affari si riferisce?
“Credo che tutti capiscano, dato che ci sono vicende giudiziarie in corso. Ma non credo sia utile fare nomi di aziende”.

Insomma, c’era chi aveva interesse a non avere problemi col governo indiano per continuare a fare i suoi affari?
“Esatto. Il ragionamento in quegli ambienti è che non si debba in alcun modo aprire una controversia con New Delhi, dando tempo al tempo, aspettando che il tribunale speciale indiano li giudichi, che inevitabilmente li condanni, per poi negoziare uno scambio nel quadro di un trattato bilaterale ratificato due anni fa”.

Insomma, c’è stato un mix di dilettismo e condizionamenti di poteri forti.
“Abbiamo vissuto per più di un anno in un clima di mezzi passi avanti e interi passi indietro, di voluta confusione mediatica, ad esempio su tempi e natura di un arbitrato. Abbiamo registrato iniziative insensate e controproducenti, come l’apparizione in giudizio a nome dello Stato italiano, e non soltanto dei due marò, del commissario De Mistura, e dell’ambasciatore Mancini.

Nel frattempo si è perso tempo.
“E’ la cosa più grave: si sono lasciati passare nella totale inazione mesi e mesi, dando all’India e al mondo la netta sensazione che la sorte dei nostri due marò interessasse solo una piccola parte delle istituzioni, della politica e della società italiana”.

Una figuraccia internazionale.
“Quella che s’è creata è una situazione assurda, lesiva della dignità e del ruolo internazionale del Paese e della tutela che dev’essere sempre assicurata ai nostri militari impegnati in operazioni di pace”.

Monti sostenne che nel governo tutti, lei compreso, erano d’accordo per rimandare i due marò in India.
“Falso, misi per iscritto la mia contrarietà affinché ne restasse prova inequivocabile”.

Lei che cosa intendeva fare?
“Avevamo agito correttamente riportando per ben due volte Latorre e Girone in Italia creando in entrambi i casi -dicembre 2012 e marzo 2013- tutte le premesse politiche, giuridiche e diplomatiche affinché la controversia con l’India fosse risolta”.

Che passaggio formale è mancato?
“Se la magistratura, come aveva tutto il potere di fare, li avessi trattenuti in dicembre avviando l’azione penale, e se il governo avesse fatto quanto aveva annunciato urbi et orbi in marzo, le nostre relazioni con l’India sarebbero rifiorite e trarremmo ora tutto il vantaggio di trovarci di fronte un nuovo Governo nazionalista Hindu, fortemente impegnato nello sviluppo economico del paese. Un anno di cedimenti, attese, tentennamenti pone ora l’Italia in una condizione assai più difficile”.

Lei ha sempre sostenuto la necessità di contestare la giurisdizione indiana e attivare un arbitrato internazionale obbligatorio sulla base del trattato Onu sulla navigazione. Ne è ancora convinto?
“Come potrei non esserlo? La giurisdizione è indiscutibilmente italiana, in base alla convenzione Onu sul diritto del mare, ai trattati in vigore e alle consuetudini internazionali. Anche i governi Letta e Renzi hanno sempre ribadito questa posizione. Il problema è che sono trascorsi quindici mesi e alle parole non sono seguiti i fatti. L’Italia non ha ancora internazionalizzato veramente la controversia con l’India”.

E come si internazionalizza la controversia?
“Bisogna fare tre cose: formalizzare la procedura di arbitrato obbligatorio; spiegare le nostre ragioni in ogni incontro, riunione, visita internazionale del Presidente del Consiglio e dei ministri degli Esteri e della Difesa; investirne il consiglio di sicurezza dell’Onu dove il tema della lotta alla pirateria è spesso discusso”.

Insomma: qual è la chiave per risolvere il caso?
“Occorre evitare che sia l’India a processarli ottenendo che, nel rispetto delle leggi internazionali, sia un collegio arbitrale delle Nazioni Unite a sancire che la giurisdizione è italiana. Tutti i maggiori internazionalisti, e non solo quelli italiani, condividono questa impostazione e sostengono che è solo l’Italia a dover giudicare i suoi marò”.

Pensa che il team internazionale di giuristi che si è appena insediato al ministero degli Esteri possa svolgere un ruolo efficace?
“Bethlehem ha ricoperto incarichi di alta responsabilità al Foreign Office dove era capo del servizio giuridico. Ma mi ha un po’ sorpreso che ci si affidi alla guida di un internazionalista straniero anziché di un italiano. Vorrei ricordare che proprio nel Diritto del mare abbiamo personalità di assoluto prestigio e fama mondiale”.

Ha fiducia nel governo Renzi?
“Credo che stia acquisendo una consapevolezza ben diversa da quella del governo precedente e che sappia che il caso marò è la punta di un iceberg la cui parte sommersa è fatta di interessi e priorità che ben poco hanno a che fare con la tutela della nostra sovranità e degli interessi nazionali”.

©2024 Giulio Terzi

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