Discorso “Occorrono più impegno e risorse nella nostra politica estera in Africa”

Milano, 1 Aprile 2014

È un piacere poter approfondire in un contesto così qualificato  alcuni aspetti della politica estera italiana e dei nostri interessi economici nel Continente Africano.

È segno della grande amicizia esistente tra Italia ed Etiopia la presenza qui oggi dell’ Ambasciatore S.E. Mulugeta Alemseged Gessesse.

L’Etiopia è il Paese che ospita la sede dell’Unione Africana. Di per sè, ciò evidenzia il ruolo chiave riconosciuto ad Addis Abeba da tutti i Paesi Africani.

L’Etiopia ha avuto la Presidenza dell’Unione Africana nel 2013, 50° Anniversario dell’Unione Africana.

E il discorso fatto nel giugno di quell’anno alla Farnesina dall’Amb. Gessesse a nome del Primo Ministro Hailè Mariàm Desalegn, è rimasto un preciso punto di riferimento per l’Unione Africana.

In quella occasione, del 50° anniversario dell’Unione Africana,  vennero molto evidenziati: la visione  dei padri fondatori; il momento in cui l’Africa trovava la sua libertà;  la collaborazione tra i nuovi Stati; l’eliminazione dell’Apartheid;  le numerosissime azioni collettive per la stabilità e la pace attuate dall’UA e dalle sue organizzazioni regionali nel quadro delle Nazioni Unite; l’impegno da proseguire per affrontare le sfide interne ed esterne all’Africa,  politiche,  sociali e di sviluppo.

L’obiettivo, ricordava ancora il messaggio del Primo Ministro Desalegn pronunciato dall’Amb. Gessesse, è sempre quello dell’unità, della libertà, della fine dei conflitti, del progresso sociale, della emancipazione socio economica.

Io sono tra coloro che ritengono che in Europa e in Italia si parli,  si pensi,  si lavori ancora troppo poco con l’Africa e per l’Africa.  Quando ripercorro alcuni momenti della mia esperienza di Governo, i risultati ottenuti con le missioni che ho effettuato,  anche con importanti imprenditori, nel 2012 ad Addis Abeba,  a Mogadiscio,  a Maputo,  e le indicazioni emerse con le numerose visite,  iniziative imprenditoriali, “country presentations” di questi Paesi in diverse città italiane,  ecco quando ripercorro mentalmente quelle esperienze,  i risultati ottenuti  mi appaiono sempre più come la dimostrazione della validità di una politica estera nazionale ed europea verso l’Africa Sub sahariana che deve essere sempre più proseguita e rafforzata.

Le sfide che abbiamo dinanzi nella collaborazione con l’Africa sono ancora recentemente state sottolineate all’ultimo Vertice UA,  lo scorso 30 gennaio. I 54 Paesi Africani, ha detto Ban Ki-moon sono la “spina dorsale” del sistema onusiano.

Lo sappiamo benissimo noi italiani che abbiamo sempre potuto contare sull’amicizia, la comunanza di valori e di interessi dei nostri partners africani,  in innumerevoli occasioni di sostegno reciproco alle Nazioni Unite: nel negoziato per la riforma del Consiglio di Sicurezza, definito da Sam Kutesa,  Presidente dell’UNGA,  “uno degli organi attualmente meno democratici delle Nazioni Unite, per la cui riforma l’unità e la coesione del Gruppo Africano non può essere sovrastimata”;  nelle grandi campagne per lo sviluppo sostenibile,  per la lotta alla povertà, per la soluzione di crisi regionali,  per il nostro comune impegno nel peacekeeping Onu,  e anche per molte questioni etiche, come la moratoria sulla pena di morte, l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili,  la parità di genere.

Nell’Africa Sub-sahariana si sommano epocali sfide e opportunità anche per l’Italia e per l’Europa. Se si eccettua l’area mediterranea, peraltro connessa e interdipendente con il resto del continente Africano, nessuna altra parte del globo è destinata ad avere nel medio e lungo termine una rilevanza cosi immediata e diretta sugli equilibri socio economici del nostro Continente.

La sfida che ci coinvolge più direttamente è quella demografica. Se in tutti i paesi in via di sviluppo la popolazione è cresciuta nell’ultimo mezzo secolo a ritmi senza precedenti, nei prossimi quindici anni ciò continuerà ad avverarsi soprattutto in Africa: con una ampia quota di popolazione molto giovane che costituisce il 40% dell’intera forza lavoro, e in ancor più  forte crescita nell’età scolare.

Le NU stimano che in due soli decenni, dal 2010 al 2030, l’Africa passerà da 1 a 1,6 miliardi di persone, quasi il 20% degli abitanti del pianeta.

 

Se lo stabilizzarsi delle democrazie africane si tradurrà in vera “accountability”, in contrasto alla corruzione, nella liberalizzazione e nell’integrazione dei mercati, il trend di crescita  e la struttura demografica costituiranno importanti “drivers” per l’ulteriore sviluppo economico continentale.  Con opportunità uniche per ridurre la povertà,  e per assicurare anche all’Africa quel “dividendo demografico” che nell’East Asia si calcola abbia generato circa un terzo del “miracolo” delle economie asiatiche.

 

Vi è, peraltro, da considerare la pressione migratoria che continuerà a prodursi laddove persistano  conflitti,  corruzione,  distorto sfruttamento delle risorse naturali o disgregazioni statuali.

 

Inoltre, dal punto di vista strettamente macroeconomico la crescita della popolazione ha un’incidenza tendenzialmente negativa sulla formazione del risparmio e sull’accumulazione del capitale, frenando così lo sviluppo.  Si determina così una “dipendenza dall’età” che può dirottare capitali e investimenti,  innescare cicli di disoccupazione elevata e di instabilità politica. In Paesi meno fortunati quanto a presenza di risorse naturali e/o di Governi responsabili tutto ciò può condurre al declino economico e alla ripresa della povertà.

 

Per i prossimi dieci anni molti vedono il futuro dell’Africa come sempre più diversificato,  più promettente,   o  più pericoloso,   a seconda di come ogni singolo Paese africano saprà affrontare le sfide e le opportunità cui ho accennato.  Questi scenari non possono, peraltro,  essere avulsi dal contesto mondiale. Basti pensare a Paesi come l’Angola, che registrano un interscambio superiore al 60% del proprio PIL.

 

I futuri scenari dell’Africa devono perciò essere declinati in relazione al resto del mondo e alle forze che si manifestano nell’economia globale.  Nei prossimi dieci anni i Paesi africani saranno uno dei principali motori per la crescita globale.

 

Si tratta di un continente ricchissimo di minerali come i metalli preziosi, idrocarburi, uranio, biodiversità, agricoltura.  Più di un quarto delle terre coltivabili del mondo sono in Africa, mentre la produzione agricola africana corrisponde solo al 10% della produzione mondiale.

 

Il che significa che esiste un gap enorme di produttività agricola che può essere colmato,  ancor più se si considera che l’aumento di tale produttività si colloca annualmente tra il 2 e il 5%.  Un gap enorme di produttività che corrisponde a un’altra enorme opportunità per i Paesi partners dell’Africa.

 

Undici Stati africani sono nei “top ten” Paesi produttori di almeno un minerale essenziale per l’industria. Secondo il FMI ben sette delle dieci economie che stanno registrando i più alti tassi di crescita mondiali nel quinquennio 2011-2015 appartengono alla regione Sub Sahariana.

 

Da almeno quindici anni la forza gravitazionale dell’economia cinese  sta riorientando radicalmente flussi commerciali,  investimenti,  servizi,   tra Africa e paesi partners.  È questo un dato di cui l’Europa si è resa conto con troppo ritardo e di cui dovrebbe trarre tutte le conseguenze.

 

Già nel lontano 2003 la Cina assorbiva il 7% del consumo di petrolio, il 25% di alluminio, il 27% di acciaio,  il 30% di ferro, il 31%

di carbone,  il 40% di cemento.  La Cina è povera di risorse naturali. Doveva guardare altrove. Il Primo Ministro Wen Jiabao aveva previsto a inizio anni 2000 il raddoppio dell’interscambio con l’Africa entro il 2010.  Pechino ha così raddoppiato l’assistenza allo sviluppo,  concesso finanziamenti agevolati per decine di miliardi di dollari,  abbassato o azzerato le tariffe doganali, formato migliaia di professionisti africani, inviato centinaia di esperti agricoli, concesso migliaia di borse di studio.

 

Le relazioni tra UE e Africa devono, per contro,  affrontare una serie di problemi annosi che limitano l’efficacia del partenariato.  Un tema spinoso è quello degli investimenti e degli scambi commerciali,  disciplinati dall’ Accordo di Cotonou del 2000, che varrà sino al 2020. Gli Economic Partnership Agreements (EPA) previsti dall’Accordo avrebbero dovuto entrare in vigore entro il 2007,  liberalizzando l’interscambio come strada maestra per integrare l’Africa nell’economia mondiale rafforzando la competitività delle produzioni africane.  Si voleva superare le logiche assistenziali della cooperazione allo sviluppo,  per entrare nella fase del “rapporto tra pari”,  veramente partenariale. Con regimi di apertura bilanciata, da parte europea e da parte africana, sia pure con opportune asimmetrie. Ma le reazioni protezioniste hanno suggerito di ratificare EPA interinali,  in preparazione di quelli definitivi. Si è dovuto attendere lo scorso giugno affinchè diversi Stati del raggruppamento dell’Africa Occidentale e di quella Australe ratificassero gli EPA interinali.

 

Ma le distanze non si limitano alla politica commerciale. La Joint Africa-EU Strategy,  lanciata a Lisbona nel 2007,  si è mostrata inadeguata,  nonostante includesse integrazione regionale, infrastrutture, pace e sicurezza,  democrazia e diritti umani,  migrazioni,  mobilità e lavoro,  energia,  clima,  obiettivi di sviluppo del Millennio.  Certamente, ha influito negativamente la crisi economico-finanziaria seguita pochi mesi dopo il Vertice di Lisbona,  l’evaporare delle risorse disponibili – pensiamo a quanto accaduto al bilancio del nostro Ministero degli Esteri! – e i burocratismi cha hanno appesantito la strategia europea.

 

Ma non dobbiamo nasconderci che un peso notevole lo ha avuto la concorrenzialità delle diverse forme di partenariato offerte dalla Cina,  e la ben diversa condizionalità  che esse comportano.  Pensiamo, ad esempio,  alla questione dei diritti umani,  delle incriminazione presso la Corte Penale Internazionale,  della eccessiva permanenza nell’incarico, modificando le Costituzioni,  di alcuni Presidenti Africani,  come lamentato dal Presidente Hollande all’ultimo Vertice della Francofonia.  Permane una distanza nel modo di concepire il partenariato: declinato da molti governi africani esclusivamente in termini di sviluppo; da quelli europei in termini di governance,  accountability e democrazia.

 

Un cambio di passo deve risiedere nella capacità di integrare le logiche tradizionali di promozione dello sviluppo, basate sul principio della condizionalità con nuove attività che rispondano meglio alle esigenze di un continente in trasformazione.  La creazione di posti di lavoro e la lotta alle disuguaglianze, ad esempio, può essere stimolata dalla cooperazione istituzionale finalizzata alle riforme strutturali ma anche dal potenziamento dell’imprenditoria locale attraverso investimenti e partenariati pubblico-privato.  L’integrazione può beneficiare anche da misure rivolte allo sviluppo delle reti infrastrutturali e di comunicazione.

Il Vertice UE-Africa che si è svolto a Bruxelles nell’aprile 2014, ha dedicato particolare attenzione al ruolo del settore privato e ha indicato una serie di priorità d’intervento: attraverso il sostegno all’imprenditoria, ai servizi di sviluppo, alle attività di microcredito e finanzia inclusiva, nonché iniziative per colmare le lacune nell’infrastruttura energetica.

 

Per gran parte degli Stati africani, la sfida per garantire stabilità e sviluppo sostenibile nel lungo periodo si gioca su più dimensioni, che risultano strettamente collegate tra loro. Sul versante economico, la performance incoraggiante di alcuni Stati come Etiopia (10,3% nel 2013),  la Nigeria (7,4% nel 2013) e il Mozambico (7,1% nel 2013) va valutata insieme ad altri fattori come l’alto livello di disoccupazione, specialmente tra la numerosa popolazione giovanile, le disuguaglianze sociali ancora molto significative e la dipendenza da un settore dominante di esportazione – come quello energetico (petrolio e gas) nel caso della Nigeria.

 

Il Ministero degli Esteri intende riaccendere i riflettori e ha lanciato “l’iniziativa Italia-Africa”, motivata anche dall’urgenza di una risposta alle molteplici fenomeni di destabilizzazione che hanno originato tragedie come quella di Lampedusa, crisi come quelle che hanno colpito il Sahel.  La proposta della Farnesina intende far leva sui molteplici punti di forza africani in coerenza con tesi e valori che l’Italia sta esprimendo nei fori multilaterali. L’iniziativa Italia-Africa riguarda soprattutto le imprese nei settori dell’energia, dell’ambiente, dell’agricoltura, della salute, delle infrastrutture. La collaborazione culturale ne costituirà un elemento qualificante.

 

E qui vorrei sottolineare per parte mia la grande richiesta di cultura, e di lingua italiana che ho sempre avvertito in ogni contatto con gli amici africani. Mi ha colpito molto nelle mie visite ad Addis Abeba, a Mogadiscio, a Maputo nonché nei numerosissimi incontri con gli esponenti del gruppo africano nelle Nazioni Unite a New York, la passione che riscontravo per la nostro lingua e l’aspettativa di programmi sempre più significativi di insegnamento, di collaborazione Universitaria, di scambi di studenti.

L’iniziativa Italia-Africa intende dare valore al ruolo della Comunità africana in Italia per il contributo che essa deve dare allo sviluppo dei rapporti culturali ed economici con i Paesi d’origine.

Vorrei anche sottolineare molto il contributo che alcune nostre grandi Comunità italiane, penso ad esempio a quelle residenti in Sud Africa, possono dare a questi rapporti.

 

Vorrei ora riservare alcune brevi osservazioni alle opportunità che esistono per il nostro sistema economico in alcuni importanti Paesi dell’Africa Continentale, in particolare l’Etiopia, il Mozambico, il Sud Africa e l’Angola.

 

ETIOPIA

 

Lo scorso gennaio, in Etiopia, dopo la visita che avevo per parte mia effettuato nel maggio 2012, con una delegazione di imprenditori, si è nuovamente recato il Ministro degli Esteri Gentiloni, mentre una delegazione imprenditoriale era stata ad Addis Abeba a fine agosto 2014.  Vi sono straordinarie potenzialità nel Paese per investimenti infrastrutturali, nel campo delle energie alternative, nella fornitura di beni strumentali. Si registra una maggiore apertura agli investitori internazionali, agli investimenti esteri favoriti da un basso costo del lavoro, dalle grandi dimensioni di un mercato di quasi novanta milioni di persone, dalla disponibilità di fonti energetiche nazionali, da collegamenti diretti con l’Italia, e dalla presenza di una Comunità italiana numericamente piccola ma molto ben inserita.

Siamo stati negli ultimi anni il primo Paese esportatore europeo in Etiopia e il secondo acquirente dopo la Germania. Alcuni grandi progetti infrastrutturali e industriali sono affidati alle società italiane, come per le due grandi dighe Gibe III e Grand Renessaince Dam e gli impianti siderurgici nel Nord del Paese.

 

MOZAMBICO

 

Grazie alle numerose opportunità economiche e alle aspettative create dalle grandi scoperte di gas naturale nel Nord del Paese, negli ultimi anni si è assistito ad un crescente interesse da parte del mondo imprenditoriale nei confronti del Mozambico e al radicamento di importanti realtà imprenditoriali italiane nel Paese. A oggi sono presenti in Mozambico una trentina di aziende italiane medio-grandi e numerose altre piccole imprese, attive nei settori trainanti lo sviluppo del Paese: idrocarburi, infrastrutture, biocombustibili, agro-industria, turismo, trasporti e servizi.

Tra le più importanti vi è senza dubbio l’ENI East Africa, che grazie alle ingenti scoperte di gas effettuate prevede investimenti nel Paese per oltre 30 miliardi di dollari  nell’arco del prossimo quinquennio. Il gruppo italiano, inoltre, attraverso una serie di attività collaterali contribuisce in maniera sempre più rilevante allo sviluppo del Mozambico.

 

La CMC (Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna) che tramite la CMC Africa Austral Lda, si occupa del settore delle costruzioni di grandi opere ed è attiva in Mozambico per la realizzazione di importanti progetti infrastrutturali. Attualmente è una delle prime venti imprese del Paese e uno dei più importanti “civil contractor” del Paese  (10% del fatturato totale della CMC nel mondo).

La TREVI: opera in Mozambico da circa trenta anni nel settore dell’ingegneria del sottosuolo e dell’acqua.

Aziende italiane operano nel settore agro-alimentare: il Gruppo CRENONINI impegnato nel Paese  con un progetto per la creazione di celle frigorifere per lo stoccaggio di carne; la IGO SAMMARTINI che coltiva riso e mais su un terreno di circa mille ettari nella Regione di XaiXai.

 

Nel comparto dei biocombustibili sono presenti in Mozambico delle importanti realtà italiane: il Gruppo MONCADA; la AVIA spa, azienda biellese attiva nel settore tessile; API Nova Energia che ha creato una joint venture con l’impresa italiana Maccaferri.

 

L’interscambio commerciale tra Italia e Mozambico è in costante crescita e nel 2014 si è attestato a circa 402 milioni di euro. A partire dal 2009 le esportazioni italiane hanno spinto al rialzo l’interscambio complessivo, nel 2014, le esportazioni italiane si sono attestate attorno a 71,7 milioni di euro.

 

I principali prodotti esportati nel 2014 sono stati: macchine ed apparecchi specializzate per industrie, apparecchi e materiali del genio civile e per costruzioni, veicoli e materiali per ferrovie, macchine ed apparecchi per la lavorazione dei metalli, costruzioni e parti di costruzioni in ghisa, ferro, acciaio e alluminio e apparati elettrici.

 

ANGOLA

 

Angola è uno dei Paesi a più alto reddito pro-capite dell’Africa Sub Sahariano, ufficialmente classificato come “upper-middle-income country” nelle statistiche della Banca  Mondiale. Tuttavia, il quadro complessivo è fatto di luci e ombre vista l’eccessiva sperequazione nello sviluppo sociale e territoriale. Il settore minerario, con una capacità vicina ai due milioni di barili, il secondo produttore di idrocarburi in Africa Sub Saharina dopo la Nigeria. Coni proventi minerari è stato istituito un Fondo sovrano, di cinque miliardi di dollari.

 

I principali interessi economici dell’Italia in Angola sono rappresentati dall’esplorazione e sfruttamento di petrolio e gas naturale liquefatto (ENI e Saipem) con possibili sinergie nel settore dello sfruttamento e trasporto del gas con il non lontano Mozambico. Inoltre, sono presenti sul territorio angolano investimenti della CMC di Ravenna, IVECO, Grimaldi trasporti marittimi e SNAV, Gruppo Cremonini, Gruppo TREVI e Gruppo Danieli, Nuovo Pignone.

 

La visita in Angola il 20-21 luglio 2014 del Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha confermato l’eccellente stato e la potenzialità dei rapporti bilaterali.

La visita ufficiale del Presidente angolano Dos Santos in Italia è prevista per il mese di luglio prossimo.

 

L’Angola rappresenta il terzo partener commerciale Sub-Sahariano dell’Italia per valore complessivo dell’interscambio, dopo Sud Africa e Nigeria.

Nel periodo gennaio-dicembre 2014 l’interscambio totale tra Italia e Angola è ammontato a 1.326.599.462 euro, in rialzo (+49,1%) rispetto ai dati di interscambio dell’anno precedente. Il rialzo è ascrivibile al netto aumento dell’import da quel mercato di petrolio (98,7% sul totale dell’import 2014).

Sul fronte delle esportazioni italiane tra le merci più richieste da parte angolana risultano i prodotti metallurgici (17,3% sul totale export), le apparecchiature elettriche (6,6%), gli autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (4,8%), i mobili (4,5%). Importanti risultano anche le esportazioni di prodotti alimentari, prodotti elettronici ed apparecchiature mediche, altre macchine e apparecchiature.

 

SUD AFRICA

 

L’Economia è in una fase di bassa crescita malgrado le innegabili forze del sistema produttivo. Il Sud Africa è il Paese più ricco del globo di riserve minerali non-energy. Nel settore energetico il Sud Africa è il quinto produttore mondiale di carbone. Il Sud Africa ha un sistema finanziario e bancario di primissimo livello, una struttura produttiva avanzata (automotive, difesa ICT, medicina, farmaceutica), eccellenti infrastrutture in via di potenziamento, buona regolazione, radicate tradizioni industriali, un settore terziario efficiente e alcune punti di eccellenza in comparti non tradizionali (l’alta tecnologia, ad esempio i radiotelescopi Meerkat e SDA, l’elettronica e l’informatica).

Restano rilevanti le prospettive di sviluppo del Paese  non solo come mercato in sé, ma anche come hub per la più vasta area Sub Sahariana. Permangono gravi problemi nell’infrastrutturazione elettrica del Paese, del tutto insufficiente rispetto alla domanda.

Negli ultimi anni l’imprenditoria italiana ha realizzato in Sud Africa numerose iniziative di localizzazione produttiva ed attività di distribuzione commerciale, in particolare nei settori dell’energia, dei trasporti, delle industrie della difesa, del tessile e della meccanica, ingegneria ad opera di medie e grandi imprese italiane. Presenti le aziende associate a Finmeccanica (Agusta, Alenia, Selex, Galileo Avionica, Oto Melara, WASS, Ansaldo Energia e Fata EPC), ENI, IVECO, MSC trasporti marittimi, Pirelli, Luxottica, Pegaso Yachting, Magnetto Automotive e Maccaferri Spa per citarne alcune.

 

Nel settore energia è presente Enel Green Power (EGP).

Sul piano della R&S e Innovazioni tra i due Paesi è in corso una collaborazione fra Italia e Sud Africa per la realizzazione di progetti di carattere scientifico: la realizzazione del primo Sincrotrone del Continente africano in cooperazione con il Sincrotrone di Trieste, la creazione nel Paese di una rete telematica per la ricerca che colleghi istituzioni scientifiche, Università, etc. (progetto GRID Computing) e la collaborazione con l’INAF, l’Istituto Nazionale di Astrofisica per la realizzazione del progetto radioastronomico SKA (Square Kilometer Array).

 

I dati Istat indicano che le periodo gennaio-dicembre 2014 l’interscambio totale tra Italia e Sud Africa è ammontato a 3.561.937.758 euro, in rialzo (+3,2%) rispetto ai dati di interscambio dell’anno precedente.

Nel 2014 le principali merci italiane, il cui export è in rialzo, sono i macchinari e apparecchiature meccaniche (33,5% sul totale export 2014), le apparecchiature elettriche e a uso domestico (10,9%), coke e prodotti raffinati del petrolio (8,6%), i prodotti alimentari (4,3%).

 

Sarà per me motivo di grande interesse raccogliere esperienze e indicazioni che possano avere anche utile seguito sul piano politico nazionale e regionale, oltre che nei contesti imprenditoriali e accademici ai quali sono collegato.

 

 

©2024 Giulio Terzi

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