Intervento “Integrazione economica e co-sviluppo: una ricetta per un progresso condiviso nella Regione Mediterranea”

Giulio Terzi di Sant’Agata

Diplomatico e politico italiano, già Ministro degli Affari Esteri nel Governo Monti

Nel corso di questi ultimi due decenni che hanno fatto da cornice al Processo di Barcellona e all’Unione per il Mediterraneo c’è stato un elemento di notevole continuità nella politica estera italiana: la straordinaria attenzione e dedizione riservata ai progetti di cooperazione nel Mediterraneo. Ogni governo italiano sin dalla fine della Guerra Fredda ha posto – o “ha dovuto porre” – al centro della propria agenda estera la vasta realtà geopolitica che alcuni storici chiamano il “Grande Mare” o la “regione mediterranea”, estesa su un territorio compreso tra Medio Oriente e Golfo.

Le ragioni per cui una politica mediterranea è una necessità, non una mera opzione, vanno individuate nella stessa identità italiana e in quella europea, nei nostri interessi economici e di sicurezza. L’evidente impegno per la cooperazione mediterranea e per il dialogo non significano, tuttavia, che sia sempre stata una visione comune a ispirare le scelte di leader e partiti politici italiani. I problemi che affliggono la regione sono infatti troppo complessi e conflittuali per consentire una simile linearità, considerate le loro ramificazioni globali. Oggi più che in passato, le politiche estere e di sicurezza sono al centro di dibattiti divisivi, spesso offuscati da notizie false e narrazioni contrastanti.

L’UpM sottolinea correttamente come spesso considerazioni di carattere più dichiaratamente politico prevarichino quelle legate all’interesse comune: la regione euro-mediterranea è un’area sensibile, in prima linea in molte urgenti sfide globali come la migrazione, il terrorismo, il cambiamento climatico, la scarsità d’acqua o la disoccupazione giovanile. In questo contesto, l’UpM ambisce a promuovere l’individuazione di risposte regionali comuni in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, proponendo un capitolo regionale per un’agenda globale. L’UpM integra il lavoro bilaterale della Politica Europea di Vicinato del 2004 e le “politiche di sviluppo” dei Paesi membri: un’agenda mediterranea condivisa sta finalmente emergendo con l’obiettivo di esercitare un impatto positivo, non solo sulla situazione dei singoli Stati, ma sull’intero processo di integrazione. Questo lavoro sarà possibile solo tramite un costante coordinamento con altre organizzazioni e forum – come la Lega Araba e l’Unione del Maghreb Arabo – e iniziative sub-regionali come il ” Dialogo 5 + 5″ – fortemente sostenuto dall’Italia – in associazione con l’UpM.

Dieci anni dopo la Dichiarazione di Parigi, è importante comprendere pienamente il valore di ciò che è stato ottenuto e il potenziale beneficio che l’UpM e la Politica di Vicinato UE possono portare al mondo che ci attende. Nel marzo 2015, la Conferenza Inter-parlamentare per la Politica Estera e di Sicurezza Comune e la Politica Comune di Sicurezza e Difesa nelle sue conclusioni ha descritto l’UpM come “il forum di cooperazione più efficiente e comprensivo”. Sulla stessa riga, l’Assemblea Parlamentare dell’UpM ha riconosciuto, nelle dichiarazioni finali della 12° Sessione Plenaria del 2016, “l’importanza del ruolo di cardine svolto dall’UpM nella promozione di cooperazione e integrazione regionale nel Mediterraneo”. Fino a giugno 2018, l’UpM ha dato vita a ben 28 progetti tesi a intervenire sulle basi della cooperazione regionale per lo sviluppo umano. Sotto questa egida, ha avuto luogo un’impressionante abbondanza di iniziative relative allo Sviluppo degli Affari e del Lavoro, all’Educazione Superiore e alla Ricerca, agli Affari Sociali e Civili, allo Sviluppo Sostenibile, ai Trasporti e allo Sviluppo Urbano,  Energia, Clima, Acqua, Ambiente, Blue Economy.

Guardare al futuro richiede oggi realismo nell’identificare gli interessi nazionali ed europei. Nel “Grande Mediterraneo” possiamo vedere la forza della geopolitica nel suo movimento evolutivo costante, rapido e probabilmente irreversibile. Equilibri di potere, aree di influenza, equazioni securitarie sono in flusso continuo nell’intera regione, in particolar modo nel Mediterraneo centrale e orientale. Gli Stati membri dell’UE, le istituzioni europee e i partner mediterranei devono affrontare queste sfide in ogni spazio di discussione su cooperazione e dialogo, in organizzazioni multilaterali o in ambito informale per incrementare la consapevolezza e supportare lo sviluppo di una volontà politica comune. C’è un bisogno urgente di riconciliare narrative e interpretazioni divergenti su tendenze, cause, interessi nazionali e forze in costante movimento dentro e attorno al Grande Mare.

Sin da agosto 2013, la Russia e l’Iran hanno acquisito una posizione predominante nella stabilizzazione del disastro siriano. L’ultimo quinquennio ha visto il susseguirsi di una serie di fenomeni significativi: un consistente disimpegno americano in Siria; una forte spinta del Presidente Obama per la normalizzazione delle relazioni USA-Iran, seguita da decisioni di carattere inverso da parte del Presidente Trump; un “lasciapassare” praticamente concesso al Presidente Putin per le sue iniziative militari e diplomatiche con Iran, Israele e Turchia, nel nome della guerra contro lo Stato Islamico.

Il dispiego di una forza militare ampia e permanente russa in territorio siriano, la vendita di sistemi antiaerei S-300 di importanza strategica a Siria, Iran e Turchia sono già di per sé fattori che hanno introdotto consistenti elementi di novità nelle opzioni di Stati Uniti e Israele all’interno del panorama iraniano e siriano. Nell’ultimo biennio, il Presidente russo Putin ha saputo cogliere un ampio numero di opportunità straordinarie, in particolar modo per quanto riguarda il ruolo della Russia nel Mediterraneo:  in primo luogo, per via delle incertezze provocate all’Alleanza Atlantica dall’elezione del Presidente Trump, nonostante gli esiti dei Summit Nato di Brussels e Helsinki abbiano mostrato a Putin come l’Alleanza sia ancora solida e determinata; in secondo luogo, per via dell’acquisizione da parte russa di una vasta serie di accordi riguardanti la Siria, il terrorismo, il petrolio, la cooperazione economica e finanziaria, gli accordi pubblici o segreti con vecchi nemici o nuovi amici, come Erdogan, Netanyahu, Rohani, Assad, Mohammed bin Salman, Al Sisi.

Lo spazio di manovra russo ha ulteriormente ampliato le frizioni tra Ankara e Washington lo scorso agosto e le controversie tra UE e Stati Uniti sulle sanzioni statunitensi contro l’Iran. Fino a che punto si potrà arrivare? Un ulteriore allarme è arrivato a Roma, quando la Cancelliera Merkel e il Presidente Putin hanno discusso, lo scorso 21 agosto a Meselberg, per via del ruolo russo in Libia, ovvero gli interessi in materia energetica e nelle infrastrutture. Molti hanno ricordato che a seguito dei ripetuti incontri tra Putin e Heftar dell’anno scorso è stato raggiunto un accordo tra lo stesso Generale e Rosneft. La Compagnia petrolifera libica (NOC) ha raggiunto un grande accordo di cooperazione e investimento che permetterà a Rosneft di accedere a investimenti nel settore petrolifero libico e di acquistare greggio libico per la prima volta. La Russia è consapevole dell’importanza della Libia per il mercato globale dell’energia, per via del possesso da parte libica delle più grandi riserve di petrolio in Africa, molte delle quali ancora non esplorate. La Libia fornisce gas all’Europa tramite un gasdotto che raggiunge l’Italia passando per il Mediterraneo. Investendo nel mercato libico, la Russia ha guadagnato un ruolo dominante e un’influenza crescente. Una vera e propria “controstrategia” rispetto a quella condotta della Commissione UE, indirizzata a differenziare la fornitura energetica. Le ambizioni russe sul Mediterraneo potrebbero trarre beneficio dall’acquisizione di una struttura navale sulla costa libica, da aggiungere alle basi militari e alle infrastrutture di cui Putin già dispone in Siria. Una simile presenza potrebbe diventare una fondamentale pedina nella contesa con Europa e Nato.

La crescente presenza militare ed economica di Russia e Cina nel Mediterraneo è una realtà le cui conseguenze non sono forse ancora state pienamente comprese e affrontate con strategie appropriate. Lo scorso settembre, una delle più impressionanti esercitazioni navale mai tenute dalla Marina Russa ha avuto luogo nel Mediterraneo orientale. Una concentrazione di forze inusitata di fregate di prima classe e navi logistiche si è raccolta attorno all’incrociatore Maresciallo Ustinov, per un dispiegamento di 25 navi e 34 aerei. Quello che è stato considerato per decenni come spazio incontestato dell’Alleanza Atlantica e delle Marine europee è divenuto area di esercitazione di altri poteri più grandi. La Russia sta rafforzando la propria presenza a Tartus. Sottomarini nucleari armati di missili cruise sono permanentemente presenti in quell’area. Questa è la ragione che ha spinto il Capo di Stato Maggiore statunitense ad annunciare la propria intenzione di incrementare la presenza militare americana in Grecia.

La Cina, dall’altra parte, sta aumentando la sua presenza nel Golfo di Aden e nel Canale di Suez, nell’ambito di operazioni anti-pirateria, ma non solo. Ci sono numerose preoccupazioni in merito ai reali obiettivi cinesi e all’acquisizione di terminali marittimi che potrebbero nascondere doppi propositi: in Grecia, Spagna, Italia, Turchia, Algeria. Dopo aver mostrato nel 2011 un’importante capacità operativa nel 2011, a seguito dell’evacuazione di 35.000 persone di nazionalità cinese dalla Libia, la Marina cinese ha condotto esercitazioni marine nel Mediterraneo assieme alla Marina russa nel 2015. Inoltre, l’ambizione di Pechino di stabilire una base militare nel Mediterraneo è tutto fuorché un mistero.

In una prospettiva più ampia, l’espansione della presenza cinese nel Mediterraneo dev’essere interpretata come un’importante pietra miliare nella politica del Presidente Xi Jinping della “Belt and Road Initiative” (BRI) e della nuova, polivalente ” Silk Road”: la “Silk Road del 21° Secolo”; la “Silk Road Economic Belt”, la “Cyber Silk Road” e tutte le altre definizioni usate dalla leadership cinese per giustificare la loro visione, espressa tramite un linguaggio volutamente generico e opaco, tesa ad attrarre all’interno della sua sfera politica ed economica quanti più governi possibile. Risorse naturali, file di strutture commerciali e militari, acquisizioni di network energetici e di dati strategici in Europa sono i principali obiettivi di Pechino e di numerose compagnie cinesi che sostengono di voler investire nei nostri mercati, senza tuttavia l’applicazione di alcuna forma di reciprocità o protezione di dati o proprietà intellettuale. Mentre le compagnie cinesi spesso beneficiano di linee di finanziamento statali di cui le compagnie UE non possono godere. Si tratta di un segnale di allarme e richiamo per l’Europa fondamentale, che dovrà agire per difendere gli interessi degli Stati membri UE con urgenza.

©2024 Giulio Terzi

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