<< IN QUARANT'ANNI DA AMBASCIATORE MAI CONTATO SUL TELEFONO SICURO>>

Giulio Terzi: << Nessuno scandalo, semmai un’operazione a orologeria >>

di Virginia Piccolillo – Corriere della Sera

2 Luglio 2013

ROMA – “È stato sgradevole. Ma non mi sono venuti i brividi. Ogni diplomatico, per quanto ingenuo o a inizio carriera, sa che gli può accadere di essere spiato. Mi ha sorpreso di più una coincidenza: le rivelazioni di Snowden iniziano proprio quando nel colloquio con il presidente cinese Xi Jinping, Barack Obama stava mettendo in mora la Cina sui cyber attack: la nuova arma di distruzione di massa”. Giulio Terzi di Sant’Agata, come ex ambasciatore a Washington prima che ex ministro degli Esteri è una delle possibili vittime del Datagate. Ma piuttosto che gridare allo scandalo invita a riflettere bene sull’ “operazione Snowden”.

Perché? Non è grave essere spiati da un Paese amico?
“Certamente quello del Datagate è un grande tema, del resto non nuovo. Ma lo è quello degli attacchi informatici” fa notare Terzi. E spiega perché: “un cyber attack ormai è in grado di far scontrare treni, far cadere aerei, far saltare centrali elettriche o nucleari. È un pericolo globale gravissimo. Ce ne sono già stati di rilevanti. Incluso quello ad una società petrolifera. E l’amministrazione Obama è riuscita ad avere tracce evidenti del luogo preciso dov’era il server da cui agivano gli hacker”.

In Cina?
“Già. Anche se il governo sostiene di esserne vittima. Ma proprio quasi nello stesso momento in cui Xi Jinping atterrava in California, Snowden spuntava a Hong Kong e partiva lo scandalo Datagate. Devo dire che chi ha ideato questa operazione ha avuto anche un certo senso dell’umorismo”. Nessuno però in Europa sta ridendo. “Anch’io devo dire che c’è una certa differenza tra sapere che accade e scoprire apparecchiature elettroniche poste negli uffici. La cosa non si assorbe facilmente. Ma attenzione a farne una tragedia globale. Potrebbe ritorcersi contro l’Europa”. Il presidente francese François Hollande chiede uno stop delle trattative sul libero scambio. “Ecco questo sarebbe un boomerang tremendo. L’Europa da quell’accordo che abbatte molte barriere tariffarie si aspetta una crescita annua di 150-200 miliardi di euro. Un altro effetto collaterale che dovrebbe farci chiedere a chi giova? E costringere a rifletterci su”. Obama e il presidente russo Vladimir Putin annunciano collaborazione per risolvere il caso Snowden.

È l’inizio di un dialogo?
“Sono costretti al dialogo. La questione ha delle similitudini con ciò che è accaduto per la bomba atomica. Sanno entrambi di essere seduti su una sedia bollentissima. Potrebbero esserci situazioni non controllate, se l’attacco partisse da sistemi non centrali. Cosa accadrebbe se il cyber attack venisse da organizzazioni criminali? Va trovata una soluzione, come avvenne per le armi non convenzionali. Obama era arrivato al punto centrale della cyber sicurezza. L’operazione Snowden la vedo come una azione di disturbo”. Lui, che da ministro ha potuto leggere i propri colloqui di funzionario diplomatico, intercettati, nei file di WikiLeaks, invita comunque ad attendere la fine del “mistero Snowden”: “le dichiarazioni non sono sempre veritiere. A partire da un paradosso: i principi di libertà e trasparenza proclamati da Snowden vengono appoggiati da Paesi che non la praticano”.

Ma se le rivelazioni dell’informatico dell’NSA si dimostrassero vere?
“È chiaro, se risulta da documenti che la questione delle ambasciate spiate dagli USA è vera, si deve esprimere un disappunto fortissimo. Credo che ci siano le condizioni perché il governo e il ministro degli Esteri lo esprimano. Ma nessuna meraviglia: da ministro ho visto con i miei occhi situazioni analoghe ad opera di Paesi altrettanto amici degli USA”.

Quali?
“No, non posso dirlo”.

Ma c’è chi si chiede come sia potuto accadere sotto il naso di personale accorto? Non c’erano controlli? Lei non si è mai accorto di nulla?
“C’è una prassi costante di controlli e bonifiche e si usano reti a sicurezza elevata. Noi abbiamo sempre seguito le procedure. Certo in questi ambienti la cosa si mette un po’ nel conto. Diciamo che si sa, ma non si deve sapere”, ammette. Ma aggiunge: “sarebbe però molto diverso sapere di un piano del genere nei confronti degli alleati”. Esclude complicità italiana nella raccolta di informazioni? “Sullo scambio di informazioni si basano i rapporti tra alleati. Non è un settore dove si fanno regali. Ma posso escludere la compartecipazione italiana allo scambio di dati sensibili, come fa notare il responsabile dei nostri servizi di sicurezza, la nostra legge non lo consente”.

Quando ha saputo delle cimici in ambasciata a quali colloqui ha ripensato? Scontri con i colleghi di governo come quello, duro, sui marò? Telefonate private?
“La mia posizione sui marò era talmente chiara e basata sulla nostra ragione che c’era poco da intercettare anche per gli indiani. Se poi vuole sapere se troveranno colloqui che imbarazzeranno mia moglie – conclude scherzando – in 40 anni di carriera non ho mai pensato che una telefonata fosse sicura”.

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